Sono trascorsi quasi due mesi dall’insediamento del governo Draghi sostenuto da una trasversale maggioranza parlamentare alla quale partecipa la quasi totalità delle principali forze politiche, riunitesi per non rimanere fuori dal banchetto nel quale si spartiranno i lauti fondi messi a disposizione dall’Unione Europea. La formazione dell’attuale governo, però, risponde oltre che a necessità politiche anche a ragioni più intimamente connesse con la natura del conflitto di classe odierno e risponde alle esigenze della classe borghese nel suo complesso di una gestione della crisi attuale orientata ai loro interessi. Non a caso il nuovo governo ha ricevuto fin da subito il sostegno aperto della totalità degli industriali, delle associazioni datoriali e dell’Unione Europea.
La proclamazione di Draghi è stata seguita dall’acuirsi della retorica dell’unità nazionale, favorita dall’appoggio politico trasversale di cui gode e presentata come la risposta necessaria a combattere le conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia. Rappresentazione plastica di tale impianto ideologico è fornita dall’appello del presidente Mattarella alla responsabilità di tutte le forze dell’arco costituzionale e delle “parti sociali” affinché sostengano il governo, presentato come un campione dell’efficientismo, con le carte in regola per rimettere in carreggiata i piani vaccinali e, soprattutto, per garantire una gestione razionale ed efficace dei miliardi del Recovery Fund.
Il feticcio dell’unità nazionale viene innalzato come arma ideologica e strumento di pace sociale a corollario della retorica delle classi dominanti secondo cui saremmo “tutti sulla stessa barca” ad affrontare un nemico esterno e imprevisto. La confutazione di tale narrazione è sotto gli occhi di tutti: oltre 100.000 persone hanno perso la vita, gli ospedali sono al collasso, anche a causa del sistematico smantellamento della sanità pubblica e della medicina di prossimità e di prevenzione sui territori, i DPCM che si susseguono indirizzano le misure di prevenzione del contagio limitando tutte le attività extralavorative, mentre il virus continua a circolare nei luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto e nelle strutture sanitarie, la chiusura di scuole e università costringe gli studenti a seguire le lezioni a distanza e aumenta il fenomeno della dispersione scolastica colpendo con maggiore gravità gli studenti che provengono da famiglie economicamente svantaggiate. La crisi capitalistica aggravata dalla pandemia colpisce con maggior forza le classi popolari e si abbatte sui lavoratori che incontrano la repressione statale quando si oppongono ai licenziamenti e fanno valere i propri diritti. La retorica dell’unità nazionale propagandata a reti unificate deve essere contrastata. Per mezzo di essa si tenta di nascondere il conflitto insanabile tra gli interessi della classe borghese e quelli dei proletari, si tenta di neutralizzare il conflitto di classe additando quelli che si oppongono alla gestione padronale della crisi economica come “traditori della patria”.
Il carattere antipopolare e di classe dell’attuale governo, dunque, è fuori di dubbio, ma in alcune forze dell’opposizione di classe e appartenenti all’area comunista si sono diffuse analisi errate sulla natura del governo che è necessario smentire. Queste posizioni dipingono il governo come una manovra messa in atto dall’Unione Europea per “commissariare” l’Italia, instaurando una dittatura tecnocratica così come avvenne nel 2011 con il governo Monti, con lo scopo di soggiogare ulteriormente la sovranità popolare e lasciare campo libero alle élite finanziarie straniere. Sostenere l’idea della “dittatura tecnocratica” imposta dall’esterno significa commettere un errore di analisi che favorisce, anziché combattere, gli interessi dei settori della borghesia di cui il governo Draghi è espressione. Affermare che l’insediamento del governo Draghi rappresenta un colpo di stato delle élite finanziarie europee ai danni della sovranità nazionale è sbagliato e, in ultima analisi, fa il gioco della borghesia italiana, assolvendola dalle proprie responsabilità. Tale impostazione presta il fianco all’idea dell’Italia colonia che non trova riscontro nella realtà e disarma le masse lavoratrici italiane di fronte al loro principale nemico, mettendo gli interessi della classe operaia alla coda del sovranismo borghese. Il governo Draghi è espressione piena e diretta della borghesia italiana di cui incarna aspirazioni e interessi rappresentando la migliore rassicurazione nel processo di ristrutturazione capitalistica in corso, nella competizione con le borghesie degli altri Paesi e nella contrattazione in Europa per l’allocazione di maggiori fondi e concessioni per l’Italia.
Il parallelismo dell’attuale governo con quello di Monti è un ulteriore grave errore di analisi, in quanto non rileva che quando si insediò il governo Monti la crisi attraversava una fase completamente diversa rispetto a quella attuale. Allora la fase era caratterizzata da un’acuta sofferenza delle istituzioni finanziarie che, gravate da crediti inesigibili, fronteggiavano il rischio di un crollo sistemico. A ciò seguì la crisi del debito sovrano che investì pesantemente l’Italia a causa dell’alto livello del debito pubblico e il basso tasso di crescita. Oggi, a causa dell’accelerazione che la pandemia ha impresso alla crisi di sovrapproduzione capitalistica, siamo di fronte a un crollo del PIL di dimensioni inaudite, con il rischio concreto di una trasformazione della recessione in depressione. Le politiche che Monti mise in campo furono principalmente volte a stabilizzare il sistema finanziario e a ridurre il deficit attraverso tagli alla spesa pubblica e incremento del prelievo fiscale. Come è noto, politiche di questo tipo non sono in grado di stimolare la domanda, e quindi non potrebbero in alcun modo essere applicate alla situazione attuale, che richiede invece un potente stimolo alla domanda interna. Ne consegue che il carattere delle politiche che il governo Draghi implementerà dovrà essere di tutt’altra natura: ne è prova il fatto che mentre dieci anni fa l’Unione Europea, per salvaguardare l’euro, impose ai paesi maggiormente colpiti dalla crisi piani draconiani per il risanamento della spesa pubblica, oggi i vincoli di bilancio vengono sospesi (sia chiaro, solo sospesi!) e vengono stanziati, soltanto per l’Italia, circa 210 miliardi di euro, di cui circa il 40% a fondo perduto. Da quanto detto dovrebbe essere chiaro che i compiti di Monti e di Draghi nella gestione della crisi sono fondamentalmente diversi e che paragonarli è una semplificazione in cui non si deve cadere.
Allo stesso tempo, alcuni elementi di continuità del governo Draghi con quelli passati, non solo con i governi Conte I e II, ma anche con quelli precedenti a guida PD, sono palesi. Basti pensare alle recenti aggressioni e alle rappresaglie ai danni dei lavoratori a Piacenza e a Prato, risultato del combinato disposto dei decreti sicurezza di marca salviniana (figliazione diretta dei decreti targati Minniti) e delle misure anti-assembramento che si sono susseguite nell’ultimo anno. Come dimostra l’ultimo DPCM, la gestione della pandemia del governo Draghi si pone in perfetta continuità con il governo Conte che l’ha preceduto nell’assicurare che le attività produttive non subiscano battute di arresto, a scapito della salute dei lavoratori e dei loro familiari: una politica asservita ai voleri di Confindustria che, dal punto di vista del contenimento dei contagi si rivela completamente fallimentare, dal momento che non mostra di aver alcun effetto significativo sulla riduzione della diffusione del virus.
A nostro giudizio, l’analisi del nuovo governo deve partire dalla comprensione della fase economica che attraversiamo nel contesto dell’aggravarsi della crisi pandemica. Draghi è espressione di una concezione dell’uscita dalla crisi dei settori dominanti della borghesia italiana e del loro progetto di ristrutturazione in sintonia con i piani più generali del capitalismo monopolistico europeo. Questo governo, dunque, è il punto d’incontro e mediazione tra differenti settori borghesi, aventi anche visioni opposte rispetto alla gestione della crisi, che cercano di venire a patti per non arretrare e mantenere le proprie posizioni. Ciò che dobbiamo aspettarci dal governo Draghi emerge da una serie di punti chiave che rendono evidente la direzione che le politiche che metterà in campo assumeranno:
- Se da un lato, come abbiamo detto sopra, al contrario del governo Monti, questo governo ha a disposizione una significativa capacità di spesa grazie alla disponibilità dei fondi del Recovery Plan, Draghi ha espresso chiaramente la sua visione di come la spesa pubblica deve essere attivata. Le affermazioni di Draghi riguardo alla necessità di un massiccio intervento pubblico per risollevare l’economia dalla drammatica crisi in cui è precipitata[1], che hanno spinto una larga fascia di analisti a definirlo “neo-keynesiano”, vanno messe nel contesto di quanto affermato nel rapporto del G30[2]:
Scarce public resources should be targeted toward the correction of market failures that would harm the wider economy and should enable the efficient reallocation of economic resources to where they will preserve and create the most value. Not all firms will merit policy support, and those that do will merit differentiated and potentially novel interventions.[3]
Essenzialmente, il rapporto afferma che ci saranno settori dell’economia che verranno aiutati e altri che verranno lasciati morire in un processo di “distruzione creativa”. Sotto la guida di Draghi saranno dunque i settori dominanti del capitalismo monopolistico, italiano non meno che europeo, che stabiliranno i criteri di accesso alle risorse del Recovery Fund e, di conseguenza, quali settori economici dovranno soccombere. In questa dinamica, la classe operaia non ha ovviamente alcun ruolo, se non quello di agnello sacrificale sull’altare della ripresa del ciclo economico.
- Dal momento che la “distruzione creativa” creerà le condizioni per una macelleria sociale senza precedenti, è essenziale per il governo mantenere sotto controllo le tensioni sociali che già cominciano a manifestarsi. Per il momento, questo si è tradotto in una stretta repressiva ancora più drastica persino rispetto a un governo di carattere apertamente reazionario come il Conte I, come provano, per fare solo due esempi, le violenze poliziesche ai danni dei lavoratori della Texprint di Prato e la rappresaglia giudiziaria nei confronti dei lavoratori e delle avanguardie sindacali dei S.I. Cobas a Piacenza e in altre città. Ma ci sono anche segnali che sembrano indicare l’intenzione di neutralizzare le lotte in modo più morbido: basti pensare all’annuncio della firma del contratto dei Metalmeccanici in concomitanza con la nomina di Draghi a presidente del consiglio. Il bastone della repressione poliziesca viene giustapposto alla carota di accordi al ribasso che i sindacati confederali sbandierano come grandi vittorie dei lavoratori. Con l’avvicinarsi della fine del blocco dei licenziamenti è urgente mettere in piedi strategie che assicurino la pace sociale e il governo si tiene aperte entrambe le strade della repressione e della concertazione.
- Le politiche di gestione della pandemia proseguono sulla falsariga di quelle del governo precedente. Le misure di contenimento continuano a essere dettate dall’esigenza di Confindustria di non interrompere il ciclo di generazione dei profitti, mantenendo aperti i luoghi di lavoro a scapito della salute dei lavoratori e additando i comportamenti individuali e “ricreativi” come responsabili della diffusione del virus, mentre la campagna vaccinale continua a non decollare, ostaggio delle strategie di massimizzazione del profitto delle multinazionali farmaceutiche, ma anche a causa delle carenze provocate dallo stato pietoso in cui è stata ridotta la medicina di prossimità e prevenzione dopo decenni di definanziamento della Sanità pubblica.
Da quanto detto sopra, possiamo concludere che l’insediamento del governo Draghi presenta evidenti caratteri di continuità con quelli precedenti inasprendone alcuni aspetti. Questo governo rappresenta il risultato di dinamiche tutte interne alla borghesia nazionale, che partecipa, in competizione con le altre borghesie europee, alla definizione di strategie di uscita dalla crisi attraverso processi di ristrutturazione che avranno come risultato un’ulteriore compressione dei diritti dei lavoratori. La crisi pandemica ha accelerato questo processo che era già in atto da due decenni, ma ora per il capitale monopolistico si presenta l’opportunità imperdibile di tagliare i rami secchi e convertire l’economia verso settori industriali “nuovi” utilizzando ingenti finanziamenti pubblici non solo diretti, ma anche destinati a misure assistenziali volte a sostenere i consumi e a mantenere la pace sociale, socializzando ancora una volta le perdite per favorire i profitti privati. Questo processo avviene in un contesto in cui le relazioni industriali sono dominate da sindacati collaborazionisti la cui funzione è quella di sterilizzare il conflitto sociale e impedire una vera opposizione di classe. La costruzione del conflitto di classe e la riconnessione delle lotte dei lavoratori si confermano dunque come la via da seguire per opporre al fronte dei padroni un fronte unico di classe che sia in grado di respingere l’attacco senza precedenti a cui sono sottoposti i lavoratori e le classi popolari in generale. Questa lotta non deve avvenire solamente sul piano della contrapposizione alle politiche dell’attuale governo, va condotta anche su un livello più complessivo di rinnovata combattività e unità dei lavoratori per la rivendicazione di diritti, sicurezza e migliori condizioni di vita attraverso l’impegno immediato sul piano della riaggregazione delle attuali avanguardie combattive tra i lavoratori in un fronte unico di classe e sul necessario processo di costruzione di un forte e coerente partito comunista, in grado di portare avanti la battaglia politica contro la borghesia divenendo avanguardia effettiva nel conflitto di classe. Far marciare di pari passo queste due prospettive è la condizione unica per ridare forza, direzione e effettività alla controffensiva dei lavoratori e far pagare la crisi ai padroni.
Il Comitato Centrale del Fronte Comunista
_____________________________________________________________________________________
[1] Si veda ad esempio l’articolo pubblicato sul Financial Times il 25/03/2020 (https://www.ft.com/content/c6d2de3a-6ec5-11ea-89df-41bea055720b), in cui Draghi, afferma: “It is the proper role of the state to deploy its balance sheet to protect citizens and the economy against shocks that the private sector is not responsible for and cannot absorb […] The key question is not whether but how the state should put its balance sheet to good use. The priority must not only be providing basic income for those who lose their jobs. We must protect people from losing their jobs in the first place.”
[2] Group of 30, un think tank di cui fanno parte finanzieri ed economisti di cui Draghi è co-presidente.
[3] “Le scarse risorse pubbliche devono essere destinate alla correzione dei fallimenti del mercato che danneggerebbero l’economia in generale e devono attivare una riallocazione efficiente delle risorse economiche, indirizzandole in modo che venga massimizzata la conservazione e la creazione di valore. Non tutte le aziende meriteranno il sostegno delle politiche e quelle che lo meritano dovranno ricevere interventi differenziati e potenzialmente innovativi.” in Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid, pag. 17.