I video della fuga rocambolesca delle diplomazie occidentali da #Kabul dei giorni scorsi, mentre centinaia di afghani si arrampicavano sui carrelli d’atterraggio degli aerei militari in partenza, sono l’immagine plastica del completo fallimento delle politiche imperialiste degli USA, dell’UE e della NATO. Dopo aver finanziato e armato in funzione antisovietica quegli integralisti islamici che ipocritamente dicono di voler combattere, hanno scatenato una guerra e un’occupazione ventennali con il pretesto di salvaguardare la libertà del popolo afghano, ma, in realtà, con il proposito di promuovere i propri interessi economici e politici, dal controllo delle risorse, dei gasdotti e delle vie di comunicazione, alla ricerca di una supremazia geostrategica nel quadro della competizione interimperialista con Russia e Cina. Il regime fantoccio e antipopolare, creato dall’imperialismo euroatlantico, è miseramente crollato in questi giorni, “consegnando” il paese all’oscurantismo talebano. Tuttavia, nonostante la durezza del momento, il caos di questi giorni non si può di certo dire inaspettato. Già qualche giorno fa, Gino Strada, nel suo, purtroppo, ultimo articolo ammoniva di non essere affatto sorpreso dalla rapida evoluzione della situazione, anzi.
Il ritiro delle truppe americane e dei loro alleati, tra cui anche gli italiani di stanza ad Herat, iniziato a giugno scorso, rientra infatti nei piani di adeguamento della strategia imperialista di USA, NATO e UE, tesa a redistribuire le forze militari su altri fronti, ad esempio nel Pacifico in funzione anticinese. L’Asia centrale, in quanto passaggio della “Nuova Via della Seta”, è una regione d’importanza strategica per la Cina, che, già sostenitrice della guerriglia antisovietica negli anni ’80, ha da tempo avviato trattative con i talebani, sia per assicurare i propri investimenti nella regione e acquisire ulteriori vantaggi economici e geostrategici sfruttando al massimo la débâcle dei suoi concorrenti occidentali, che per neutralizzare un’eventuale saldatura tra i talebani e i nazionalisti uyghuri del Xinjiang . In questo quadro, già da diverso tempo i talebani sono diventati nei fatti accreditati interlocutori sia delle maggiori potenze imperialiste, che di alcune potenze regionali quali Qatar, Arabia Saudita e Pakistan.
Non sono un segreto i meeting tenutisi a Doha in Qatar nei mesi scorsi, dove già si preparava la successione del governo afghano e dunque la salvaguardia degli interessi in gioco degli USA.
In questo quadro di competizione interimperialista, nuovi attori internazionali cercano di sostituire la propria egemonia nella regione a quella degli USA e della NATO. Infatti, Russia e Cina (con buona pace di chi pensa che il gigante asiatico sia ancora un paese socialista e la Russia un baluardo dell’antimperialismo nel mondo) mantengono operative le proprie sedi diplomatiche a Kabul. Basti pensare che solo il mese scorso Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei Talibani, è stato ricevuto dal ministro degli esteri cinese Wang Yi a Tianjin in Cina, mentre poche ore fa la portavoce del Ministero degli Esteri cinese si è affrettata a dichiarare di “cercare un’amichevole relazione col nuovo governo dei Talebani”, che, per inciso, tuteli gli investimenti cinesi nel paese.
In questa ventennale e fallimentare avventura militare, l’Italia ha speso circa 10 miliardi di euro e lasciato sul terreno oltre 50 morti per garantire anche ai nostri capitalisti nazionali una fetta della torta, rendendosi complice, grazie al voto di tutte le forze politiche borghesi e opportuniste, di una guerra e di un’occupazione, distruttive quanto disastrose, che hanno martoriato il popolo afghano con sofferenze non ancora terminate. È necessario, pertanto, intensificare la lotta contro la NATO, contro le guerre e gli interventi imperialisti e il coinvolgimento in essi dell’Italia.
Esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo afghano, consapevoli che la sua liberazione non può che passare dalla sua lotta contro l’imperialismo, contro le forze reazionarie e oscurantiste e il sistema capitalistico che le genera.