Alcuni giorni fa sono stati recapitati dalla Procura della Repubblica 55 avvisi di garanzia ad altrettanti militanti sindacali e lavoratori che avevano partecipato a diverse manifestazioni contro lo smantellamento della sanità pubblica e contro il precariato in Calabria tra il 2020 e il 2021. Tra gli indagati, oltre a diversi militanti dell’Unione Sindacale di Base, dei Cobas Cosenza e del collettivo Fem.In, anche un membro del Comitato Centrale del Fronte Comunista.
Le accuse, spesso senza fondamento, sono di manifestazione non autorizzata, resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal lancio di sassi e dal porto di armi, interruzione di pubblico servizio. La questura e le agenzie di stampa, inoltre, hanno cercato di svilire e delegittimare il carattere della protesta parlando impropriamente di una contestazione “contro le restrizioni Covid”.
La criminalizzazione delle lotte dei lavoratori è stata praticata frequentemente negli ultimi anni. Al momento delle proteste oggi sotto accusa, la sanità della regione Calabria si trovava al collasso per via dell’emergenza pandemica e il blocco dei licenziamenti, in una terra dove una buona parte dei contratti è a tempo determinato e stagionali, non frenava in alcun modo le migliaia di licenziamenti di fatto, mentre le imprese sopravvivevano solo grazie a sgravi fiscali e sussidi statali.
La gestione capitalistica della pandemia e gli strumenti messi in atto dalle istituzioni locali e nazionali, con una continuità non intaccata dall’avvicendarsi degli esecutivi, hanno contribuito a peggiorare fortemente la vita dei lavoratori e dei ceti popolari. In questo contesto le lotte in Calabria hanno permesso di denunciare apertamente il carattere filopadronale delle misure adottate e di contrapporre le rivendicazioni dei ceti popolari agli indirizzi imposti dai padroni.
Alle giuste proteste dei lavoratori lo stato borghese ha risposto ancora una volta con la repressione poliziesca, il terrorismo giudiziario e un crescente restringimento della libertà di espressione, di manifestazione e di dissenso. I Decreti Sicurezza, introdotti dal governo Conte 1 e convintamente mantenuti dai governi successivi, hanno trasformato in reati forme di lotta quali le occupazioni e i blocchi stradali e hanno fornito una legittimazione giuridica all’inammissibile repressione poliziesca, ai pestaggi di lavoratori e studenti in sciopero (Prato, Torino, Piacenza), agli arresti di sindacalisti e studenti (Piacenza, Torino), alle multe comminate ai manifestanti con la pretestuosa scusa della presunta violazione delle norme anti-Covid. In un momento storico in cui l’insostenibilità del modello capitalistico e la natura anarchica del mercato si palesano nelle loro forme più violente e distruttive, con una guerra imperialista che non accenna a finire, con un’inflazione in crescita che si accompagna ad una stagnazione produttiva prossima alla recessione e ad un pericoloso aumento del debito pubblico, la repressione del dissenso diviene uno strumento ordinario di gestione pubblica, atto a soffocare sul nascere tutte le espressioni che potrebbero contribuire a trasformare il clima di sfiducia e malcontento in movimenti di protesta più incisivi e generalizzati.
Il Fronte Comunista esprime la propria solidarietà ai lavoratori e ai militanti colpiti da questi ingiusti provvedimenti. La reazione repressiva dello stato borghese non fermerà la nostra lotta, che trarrà nuova linfa ed energia dall’unità necessaria per contrastare l’arroganza di chi, come al solito, tenta di trasformare contraddizioni e bisogni sociali in problemi di ordine pubblico!
Fronte Comunista – Ufficio Politico del Comitato Centrale
Roma, 23/09/2022