Lo sciopero di lunedì 13 Febbraio ha visto un’adesione altissima da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, organizzati dalla FIOM e dalla FIM: alla Antonio Carraro, storica azienda del padovano che produce mezzi agricoli, il peggioramento delle condizioni di lavoro ha superato le tradizionali ritrosie dei sindacati confederali e fatto scattare l’azione di protesta fuori dai cancelli della fabbrica e al mercato settimanale. Il motivo del contendere risale in realtà al 2017, anno in cui l’azienda ha annullato unilateralmente il contratto integrativo, di fatto strappando la quattordicesima e il premio di produzione a tutti gli assunti successivamente (circa metà degli oltre 500 addetti). Praticamente a parità di lavoro e di mansione, metà degli operai vede da anni (!) la propria retribuzione ridotta costruendo una disparità in più che va a sommarsi ai già numerosi problemi della classe operaia nel nostro paese.
Non è la prima volta certo che quest’arma della disdetta unilaterale viene utilizzata per “resettare” le lotte storiche che hanno portato agli avanzamenti sul contratto integrativo: un altro caso nella provincia adiacente di Venezia è stato quello del trasporto pubblico di cui abbiamo parlato qui
Numerosi scioperi interni nel passato hanno costretto in questi giorni l’azienda al tavolo della trattativa, con una proposta padronale che ha del ridicolo: per restituire quanto manca nella busta paga degli assunti dopo il 2017, l’azienda propone di utilizzare il risparmio contributivo ottenuto dalla trasformazione in “welfare” di parte del salario degli assunti prima del 2017.
Sostanzialmente il salario che spetta ai lavoratori dev’essere rimpinguato dalle tasche dei lavoratori stessi, e dalla riduzione del salario indiretto trasformato in quell’arma subdola e infame del “welfare”, strumento che (oltre ad aver creato una diffusa rete di parassitaggio e intermediazione presso le aziende che offrono i servizi di ticket, buoni vari, etc…) nasce come grimaldello per scardinare la sanità pubblica e l’istruzione pubblica, con un obiettivo “all’americana” di diritti garantiti solo se erogati tramite il datore di lavoro e non dallo Stato.
A questa aperta provocazione da parte dell’azienda, possibile solo a causa dell’arretratezza dello stato della lotta di classe in Italia, e dalla tiepidezza (o connivenza) delle burocrazie sindacali confederali, segue anche un’altra beffa, ovvero l’aumento del costo della mensa di 10 volte (!) che porta un’ulteriore riduzione del salario di oltre 500€ l’anno per ogni lavoratore: contro questo duplice attacco si è innestato lo sciopero.
C’è da sottolineare anche il fatto che all’interno del comunicato della FIOM sullo sciopero si include un calcolo sul “valore aggiunto” che ogni operaio crea (leggi: plusvalore che viene rubato al lavoratore) a testimoniare la floridità dell’azienda: questa improvvisa folgorazione sulla via di Damasco (o Treviri) da parte del sindacato concertativo indica forse che, dopo decenni in cui l’economia politica marxista viene messa alla porta, questa forse rientra dalla finestra come realtà concreta, spazzando via le illusioni?
La compressione sempre più aggressiva dei diritti e del salario da parte dei capitalisti (nostrani, non serve scomodare la finanza internazionale in questo caso…) è l’esempio lampante che, in mancanza dell’organizzazione della lotta, ogni diritto acquisito viene rimesso in discussione, e sacrificato sull’altare della tendenza alla caduta del saggio di profitto.
Di fronte a questo attacco al lavoro, anche all’interno del sindacato confederale si può e si deve lottare, come hanno dimostrato gli scioperi spontanei dei metalmeccanici che all’inizio del 2020 hanno bloccato la produzione per chiedere più sicurezza in fabbrica contro il contagio, fenomeno collegato anche alle grandi mobilitazioni in contemporanea nella logistica. Senza nessuna illusione sul poter influenzare la direzione complessiva del sindacato concertativo, oramai inglobato nelle dinamiche dello Stato borghese, l’impegno dovrebbe essere a nostro avviso quello di costruire la solidarietà tra lavoratori come classe, al di fuori delle categorie e al netto delle diverse sigle sindacali.
Il Fronte Comunista ribadisce la propria solidarietà ai lavoratori combattivi in lotta all’interno di qualsiasi sigla sindacale, invita ad alzare il tiro della lotta e a non mollare: solo all’interno delle lotte reali saranno smascherate le posizioni concertative e riformiste che impediscono la formazione di un polo sindacale di classe nel nostro paese.