Dopo oltre un anno dall’intervento militare russo in Ucraina, anche la Sardegna torna ad essere campo di prova designato dalla Nato per addestrare soldati e testare armi che poi verranno utilizzate in guerra.
Se i proletari russi e ucraini diventano carne da macello per la guerra dei padroni, pagandone il prezzo con il loro sangue, costretti a combattere con la pistola alla tempia delle rispettive leggi marziali, altrove il prezzo di questa guerra ricade sulle masse popolari sotto forma di carovita e tagli alla spesa sociale portati avanti dai governi borghesi di ogni colore, che fagocitano il loro reddito per foraggiare la speculazione dei grandi monopoli e la crescente spesa militare.
Mentre il conflitto tra USA-UE-NATO e Russia combattuto in Ucraina diventa sempre più devastante ed è sempre più attuale il rischio che degeneri in conflitto generalizzato, in Italia – così come in tutta Europa – la propaganda filo-atlantica ripete a reti unificate la retorica dello scontro tra civiltà, tra democrazia e tirannia, diretta a nascondere la vera natura di una guerra che nasce dalla contesa tra fazioni imperialiste per il controllo di mercati, materie prime, infrastrutture di trasporto e snodi geopolitici cruciali.
In Sardegna – sin da subito – la popolazione ha visto crescere esponenzialmente gli addestramenti e le grandi esercitazioni, anche in territori e in acque non stabilmente occupati da servitù militari preesistenti. In questo contesto di diffusa ostilità popolare verso la presenza militare, il movimento contro le basi – da anni attivo nella lotta contro la massiccia militarizzazione dell’isola – ha avuto il merito di evidenziare sin da subito la necessità di connettere questa lotta ad una mobilitazione più ampia contro il coinvolgimento dello stato italiano nel conflitto: contro l’uso delle basi sarde per addestrare soldati e testare armi da utilizzare poi in guerra; contro l’invio di armamenti prodotti in Sardegna, ad esempio dalla RWM di Domusnovas, e poi inviati tramite i porti e gli aeroporti, civili e militari, dell’isola.
Di fronte ad una posizione di ferma contrarietà alla guerra, diffusa e maggioritaria nell’isola come nel resto del Paese, resta ferma – per i comunisti – la necessità di assumersi il compito di respingere ogni tentativo di cavalcare l’onda, da parte di chiunque miri a costruire consenso a favore di uno o l’altro blocco belligerante, senza arrendersi a posizioni di retroguardia che tendono ad un vuoto e generico pacifismo incapace di mettere in discussione la natura imperialista della guerra e di riconoscere la sostanziale incompatibilità del capitalismo con la pace.
Anche in Sardegna, piagata da una presenza particolarmente massiccia di zone militarizzate, tra poligoni, basi e aeroporti sotto il comando diretto o indiretto della Nato, il movimento contro la guerra sconta una generale arretratezza, sostanzialmente in linea con il resto d’Italia. Ciò nonostante, quei pochi fuochi di dissenso e di mobilitazione sono stati interessati da intense ondate di repressione poliziesca e intimidazione giudiziaria. Non è un caso, infatti, che il movimento contro le basi abbia visto crescere, nell’ultimo anno, l’uso arbitrario e sistematico della giustizia borghese a proprio discapito: così decine di antimilitaristi sono finiti nelle aule giudiziarie per difendersi da assurde accuse di terrorismo ed eversione, con conseguente limitazione della loro libertà personale e agibilità politica, mentre tanti altri sono stati raggiunti da avvisi di indagine, ispezioni e perquisizioni.
Tutto questo avviene mentre le aree militarizzate sarde, come già avvenuto lo scorso anno, si preparano ad accogliere gigantesche esercitazioni interforze Nato, tra le quali spicca la Noble Jump 2023 – tra il 27 Aprile e il 14 Maggio – che vedrà il coinvolgimento delle forze armate di 7 paesi (Germania, Olanda, Lettonia, Grecia, Repubblica Ceca, Norvegia, Lussemburgo) e lo sbarco di oltre 3.000 soldati,interessando in particolare i poligoni di Capo Teulada e di Quirra, la base aerea di Decimomannu, il sito di Alghero e le altre aree militari sarde.
A seguito di una serie di assemblee pubbliche, il movimento contro le basi ha lanciato la data del 28 Aprile, proprio in concomitanza con l’avvio della NoJu23, per una mobilitazione generale sarda contro la guerra, e in particolare un corteo diretto contro l’aeroporto militare di Decimomannu, in occasione del quale è prevista anche l’indizione di uno sciopero da parte dei sindacati di base attivi sul territorio.
Oggi il compito dei comunisti non può più limitarsi a quello di partecipare e supportare i contesti di lotta esistenti ma deve farsi carico di spingere affinché gli attuali limiti vengano superati, così che questi contesti possano trasformarsi in reale mobilitazione delle masse popolari contro la guerra, contro le sue conseguenze più immediate e contro i governi guerrafondai che la promuovono.
L’arretratezza del movimento operaio sardo, ancor più di quello italiano, costituisce un ostacolo oggettivo all’allargamento della lotta cosciente e organizzata della classe operaia contro le mire della propria classe borghese. Proprio per questo, il nostro obiettivo primario non può che essere quello di formare una cinghia di trasmissione in un processo necessario di ricomposizione della classe operaia, l’unica in grado di portare avanti conquiste significative.
Non ci sorprende l’asservimento della classe politica sarda di fronte ai chilometri di terra e di mare violentati dalle ennesime “grandi esercitazioni” della Nato, perché questo evidenzia quale sia il loro ruolo nei piani padronali: qui come in Ucraina, le classi popolari restano vittime sacrificali nel nome dell’imperialismo.
Consapevoli che il nemico è in casa nostra, chiamiamo i lavoratori più coscienti – insieme al sindacalismo conflittuale – a lottare in prima fila contro il coinvolgimento dell’Italia nei piani di guerra di Nato e UE, a partire dallo smantellamento delle servitù militari nell’isola, oggi usate come campo di prova per una guerra combattuta altrove.