Il 14 gennaio 20124 i partiti dell’Azione Comunista Europea (ACE) hanno tenuto una conferenza telematica sul tema: “Contro i partiti dell’Unione Europea, il capitale e lo sfruttamento ‘verde’. La speranza per salvare l’ambiente è rossa”,
I delegati dei PC si sono scambiati i propri punti di vista sulle problematiche relative alla protezione dell’ambiente e della cosiddetta “green growth”. Durante i lavori c’è stato immediato accordo e una significativa convergenza di visione su importanti aspetti della questione. Una dichiarazione congiunta sarà elaborata nel prossimo futuro, mentre tutti gli interventi verranno riportasi dul sito internet dell’ACE.
In occasione della conferenza i PC dell’ACE hanno nuovamente espresso la loro solidarietà nei confronti del popolo oppresso palestinese condannando fermamente sia le criminali operazioni militari nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, sia il bombardamento dello Yemen da parte di USA e Regno Unito che stanno trascinando la regione del Mar Rosso e del Golfo persico, di grande importanza strategica, verso una conflagrazione.
Di seguito pubblichiamo il contributo del Fronte Comunista alla discussione:
Cari compagni,
Riteniamo che il tema che affrontiamo oggi sia di importanza cruciale per due ragioni principali. La prima è l’intensificarsi della pressione ideologica sulla società, espressa attraverso la propaganda borghese, sul tema dell’ambiente, rivolta soprattutto alla fascia più giovane della popolazione. La seconda è che l’emergenza ambientale è un problema reale con conseguenze immediate e future.Sottolineiamo questa duplicità per una ragione specifica: nella nostra esperienza in Italia c’è una tendenza, anche all’interno della nostra area politica, a posizioni negazioniste sulla questione ambientale. Questo è il segno di un’incapacità di confrontarsi con l’approccio borghese dominante alla questione, dovuta alla mancanza di un’elaborazione di classe e di un’attività di massa che porti tutte le vertenze ambientali, che in Italia sono numerose, sullo stesso terreno, su un piano politico più generale. Torneremo su questo punto nella parte finale e principale di questo intervento sul ruolo dei comunisti.
Per noi Partiti Comunisti sono evidenti le responsabilità e la connessione tra il modo di produzione capitalistico e l’attuale emergenza ambientale, per cui non ci addentreremo in dettagli descrittivi e puntuali. Cercheremo invece di indicare alcune caratteristiche del rapporto tra questa evidenza dello sviluppo storico e la percezione delle masse.
L’emergenza ambientale odierna è il risultato delle leggi che regolano l’accumulazione capitalistica, dell’anarchia e dell’irrazionalità di fondo del sistema di produzione capitalistico, che esclude la possibilità per la società nel suo complesso di esercitare un reale controllo sulla produzione dei beni che consuma e di cui ha bisogno, subordinandola agli interessi di chi agisce per il profitto. Lo sviluppo capitalistico della società porta con sé inquinamento e devastazione ambientale. La tendenza intrinseca a sovrapprodurre beni e a sfruttare la natura in modo sempre più aggressivo danneggia il pianeta inondandolo di rifiuti ed emissioni.
Questa responsabilità e il modo in cui si è storicamente sviluppata sono molto chiari per noi, meno per la classe operaia nel suo complesso e per la popolazione in generale. Nella nostra esperienza c’è una percezione generale abbastanza consolidata di questo legame, una base solida su cui sviluppare un lavoro politico con un orientamento di classe. Ma questo pone un problema generale: l’illusione che l’emergenza ambientale sia legata a questo specifico sviluppo capitalistico, con la conseguente possibilità di un’alternativa ecosostenibile, e che la responsabilità non risieda nella natura dei rapporti di produzione capitalistici, ma più in generale nello sviluppo industriale contemporaneo, preso come elemento astratto e scollegato dai rapporti di produzione che storicamente hanno orientato la rivoluzione industriale.
Questo è il terreno su cui una parte consistente della propaganda borghese lavora intensamente da anni per costruire la propria egemonia culturale tra le masse popolari.
Qualsiasi equazione che colleghi meccanicamente lo sviluppo dell’industria contemporanea allo sviluppo del danno ambientale si rivela errata, perché non tiene conto dei rapporti di produzione attraverso i quali l’industria moderna si è sviluppata.
Lo sviluppo delle forze produttive portato dal capitalismo nella crescita dell’industria ha aumentato enormemente il potenziale del lavoro sociale rispetto all’epoca precedente, ma queste forze produttive sono ora prigioniere degli attuali rapporti di produzione che ne impediscono il pieno dispiegamento. Se l’industria rappresenta la potenziale unità uomo-natura e la tecnologia la possibile mediazione tra l’individuo e il suo rapporto di sostituzione organica con la natura, la forma capitalistica dell’industria incarna la loro separazione e opposizione. Pertanto, non è l’industria in sé a generare la devastazione ambientale che caratterizza la nostra epoca, ma è la specifica forma capitalistica dell’industria a determinare la questione ambientale così come la affrontiamo oggi.
Queste concezioni si rivelano particolarmente pericolose perché tendono a riprodurre uno degli elementi che nella nostra esperienza costituisce uno dei principali ostacoli all’attivazione della classe operaia: la percezione dell’inconciliabilità tra lavoro e salute e tra lavoro e ambiente. Su questo piano sperimentiamo la profondità e la potenza della cultura borghese e della sua propaganda che si sforza di presentare queste contraddizioni come naturali e universali senza ricondurle alla natura dei rapporti di produzione capitalistici.
Lo sviluppo delle capacità produttive, la tecnologia e la scienza applicata ai processi produttivi non sono di per sé elementi da condannare, ma tutti strumenti da strappare dalle mani della borghesia e da mettere al servizio del benessere collettivo, attraverso un’applicazione consapevole della scienza ai processi produttivi che, rompendo il ricatto tra diritto al lavoro e diritto alla salute attraverso la pianificazione centralizzata della produzione e della distribuzione, risponda al soddisfacimento dei bisogni dei lavoratori e degli strati popolari senza essere piegata alla massimizzazione del profitto di un piccolo gruppo di sfruttatori.
Per quanto riguarda l’illusione di un capitalismo ecosostenibile, questo è il terreno su cui si sviluppano diverse teorie ecologiche che in modo più o meno diretto ritroviamo negli orientamenti dei partiti verdi. Queste teorie riducono la lotta all’emergenza climatica e ambientale a una semplice critica delle attuali politiche di sviluppo capitalistico, alimentando inevitabilmente l’illusione che esista la possibilità di un capitalismo buono e verde da opporre a un capitalismo cattivo e inquinante; alimentando l’illusione che si possano superare le contraddizioni prodotte dai rapporti di produzione capitalistici senza mettere in discussione la natura stessa di tali rapporti. Si tratta di una tendenza tutt’altro che nuova, che si rinnova nella forma ma non nella sostanza. La sostanza è associare questo cosiddetto “rinnovamento del capitalismo” all’affermazione di alcune strategie di ristrutturazione del capitalismo e alla necessità di affermare gli interessi monopolistici del proprio centro imperialista nella competizione per il controllo delle catene di produzione che sarà cruciale nei prossimi decenni.
Questo approccio ha un carattere apertamente reazionario, nonostante sia abbracciato anche da settori apparentemente radicali. Infatti, non solo nega l’esistenza di un ruolo progressivo nella pratica della lotta di classe, ma nega la sua stessa esistenza in nome di un approccio metafisico “umanista” secondo cui condurre una battaglia interclassista dell’intera specie umana in cui borghesi e proletari avrebbero obiettivi e responsabilità comuni. Secondo questi approcci, la lotta per la salvaguardia del pianeta dipenderebbe dall’adozione di comportamenti individuali “ecosostenibili”, da cui la convinzione che il “consumo individuale consapevole” sia la chiave per incidere positivamente sull’ambiente. Questo approccio, che non riconosce il carattere strutturale dell’attuale emergenza ambientale, può sembrare banale, ma spostando la lotta su un piano esclusivamente sovrastrutturale ed etico ha effetti importanti sulla concezione collettiva della cosiddetta “green economy”.
Il dibattito che si è sviluppato sia all’interno dell’opinione pubblica che nelle organizzazioni internazionali per affrontare l’emergenza climatica e ambientale non è neutrale, ma riflette gli interessi della borghesia monopolistica per aumentare i profitti e misurare la propria competitività a livello internazionale.
La “transizione ecologica” è infatti uno dei principali vettori su cui si svilupperà il processo di ristrutturazione capitalistica in Italia con il PNRR e più in generale in tutta Europa con la Next Generation EU. L’attenzione suscitata intorno alla questione ambientale da ampi settori della popolazione, in particolare dai giovani, strumentalizzando la genuina buona fede di chi individua nella lotta alla devastazione ambientale una delle principali questioni del nostro tempo, è stata sfruttata per destinare centinaia di miliardi di euro ai capitalisti. Questo denaro proveniente principalmente dalle tasche dei lavoratori sarà utilizzato per una colossale modernizzazione degli standard produttivi e per il rinnovamento del capitale fisso che consentirà ad alcuni settori del capitale monopolistico di conquistare posizioni più vantaggiose sul mercato nazionale e internazionale.
La cosiddetta “Green economy” è una delle principali aree di confronto inter-imperialista tra i monopoli, i rispettivi Stati e le alleanze imperialiste. Ha infatti aperto nuovi mercati e nuove fonti di profitto. Dobbiamo chiarire che raramente ciò che viene etichettato nel dibattito pubblico come “economia verde” è poi effettivamente una soluzione verde complessiva. Paradigmatico è il caso del settore automobilistico, dove per anni la soluzione dell’auto elettrica è stata presentata come la soluzione ottimale all’inquinamento causato dai normali carburanti. Questa percezione deriva naturalmente dall’approccio alla responsabilità individuale e al consumo che abbiamo introdotto in precedenza, senza considerare i costi ambientali dell’estrazione e della lavorazione di nuovi materiali come il litio, il coltan e il cobalto.
Il controllo delle catene di produzione di questi materiali è al centro dello scontro tra le centrali imperialiste, in particolare tra i monopoli cinesi e statunitensi e i rispettivi Stati. I monopoli cinesi controllano attualmente la quota di maggioranza nell’estrazione e soprattutto nella lavorazione del cobalto e litio, attraverso un’attiva politica di esportazione di capitali in Australia, Africa centrale e Sud America. Il passaggio alla mobilità elettrica è stato concepito dai monopoli cinesi come una grande opportunità per sfidare la correlazione di forze con altri centri imperialisti, per un fatto elementare. Un motore a combustione contiene circa 2.000 unità, mentre un motore elettrico circa 20 parti mobili. L’industria dei ricambi per auto è una parte fondamentale della produzione manifatturiera e dell’estrazione del plusvalore nel capitalismo contemporaneo; la transizione offre l’opportunità di ridisegnare la gerarchia tra le catene di produzione e tra coloro che le controllano, ovviamente. Il controllo della produzione di nuovi componenti e dell’estrazione e lavorazione di nuovi materiali è il nuovo campo su cui si svolge oggi lo scontro inter-monopolistico per conquistare le posizioni migliori nel prossimo futuro.
Su quest’ultimo punto ci sarebbe molto altro da dire per comprendere appieno la natura del confronto tra Stati Uniti e Cina, ma vorremmo concentrare quest’ultima parte del discorso sulla questione per noi centrale. Il ruolo dei comunisti nella lotta contro la devastazione ambientale e la crisi climatica.
Nella nostra esperienza, che corrisponde al grado di sviluppo della nostra organizzazione e allo sviluppo della lotta di classe in Italia – quindi non a un livello avanzato -, ci sono fondamentalmente due direzioni. Una è ideologica, l’altra politico-organizzativa.
Sul piano ideologico, la necessità è quella di sviluppare una risposta sistematica alla propaganda della cultura dominante sui temi ambientali, di sfidare l’egemonia esercitata dalla borghesia anche all’interno del dibattito sulla questione ambientale là dove promuove lo sviluppo di un movimento ambientalista con marcate connotazioni interclassiste e perfettamente compatibile con la logica degli interessi dei capitalisti. In questo intervento sono stati individuati alcuni punti nodali su cui lavorare, ma la difficoltà non è tanto quella di dare una risposta scientifica, marxista e valida alla cultura borghese, quanto quella di riuscire a calarla, calibrarla e gestirla come organizzazione all’interno di veri movimenti contro la devastazione ambientale.
In Italia negli ultimi anni si sono sviluppate diverse esperienze di lotte ambientali e territoriali che hanno messo in luce il carattere specificamente capitalistico della devastazione ambientale all’interno dei loro territori. Alcune delle principali lotte condotte in questa direzione hanno fatto emergere le contraddizioni inconciliabili tra il profitto privato capitalista, il diritto alla salute collettiva e la salvaguardia del territorio dalla devastazione. Partendo da un approccio così chiaramente anticapitalista è stato anche possibile dimostrare la reale natura delle istituzioni borghesi, che hanno mostrato chiaramente il loro carattere non neutrale e al di sopra del conflitto di classe, essendo l’espressione diretta del dominio della borghesia sul proletariato.
Senza entrare nel dettaglio di queste lotte locali, che sono anche molto diverse tra loro, ciò che è significativo per noi è che in ognuna di queste lotte – in assenza di un forte Partito Comunista – sono nati dei comitati di lotta, creati dai singoli interessati o da associazioni locali che nel tempo e nel continuo confronto con le loro lotte hanno sviluppato posizioni inevitabilmente sempre più avanzate ma circoscritte all’ambito tematico della difesa dell’ambiente.
Pensiamo che il ruolo dei comunisti non sia semplicemente quello di sostenere queste istanze, ma di partecipare direttamente a questi piccoli contesti di massa – che spesso trovano la partecipazione o l’approvazione di gran parte della popolazione locale – e di sviluppare in quel contesto – anche nella provincia più remota – il proprio ruolo di avanguardia. Non importa quanto sia ristretto l’orizzonte della lotta individuale, quanto sia sconosciuta ai media nazionali e quanto sia apolitica la partecipazione. Il punto chiave è collocare l’attività dei comunisti all’interno di una dialettica di massa, per quanto piccola. Quindi, calare e calibrare la battaglia ideologica di cui parlavamo poc’anzi in ogni contesto di massa specifico e locale. Questo è qualcosa che la nostra organizzazione sta imparando a fare.
Da questi esempi di lotta, è possibile per i comunisti cogliere il nesso sistemico che permette di elaborare strategie pratiche e teoriche in grado di far emergere il carattere di classe del costo umano ed economico della devastazione ambientale e la necessità di generalizzare ogni istanza locale in rivendicazioni di rottura complessiva, verso un’alternativa politica rivoluzionaria capace di rovesciare i rapporti di produzione capitalistici e le loro sovrastrutture politiche. Molte delle battaglie prese come esempio mostrano la necessità di passare da un livello di necessità immediata – come il diritto alla salute – a una proposta politica che inserisca direttamente la questione ecologica come contraddizione strutturale.
Individuare le contraddizioni locali come esempio di un movimento generale del capitale e quindi non accettare lo “spostamento” del problema ambientale con la delocalizzazione, identificare i responsabili economici locali e i mandanti politici, sono elementi che fanno parte di questo processo. All’interno di ogni lotta locale, al netto di ogni specificità, è possibile trovare il funzionamento generale del capitale e quindi cogliere l’incompatibilità con questo sistema.
In effetti, uno dei limiti delle manifestazioni dei ben più mediatici “Fridays For Future” è stato proprio quello di non identificare chiaramente i responsabili immediati e le rivendicazioni, non legando così la discussione alle necessità tattiche della lotta concreta e alle contraddizioni da affrontare. Questo naturalmente non significa demonizzare i grandi numeri che hanno partecipato a quelle piazze, dove in ogni caso bisogna puntare a raccogliere consensi tra gli elementi più attivi e consapevoli, ma non illudersi di poter sviluppare un intervento di massa all’interno di quel processo.
In prospettiva, il ruolo dei comunisti è quello di condurre ogni battaglia locale portando il punto di vista della classe operaia sulle reali responsabilità dell’inquinamento e della devastazione ambientale. È necessario ribadire la necessità di condurre ogni battaglia locale dalla prospettiva delle lotte di collegamento, che possono essere tradotte in rivendicazioni complessive e proposte generalizzabili. A partire dalle esperienze soggettive delle lotte ambientali e territoriali, è possibile per i comunisti porre la questione centrale della natura stessa dei rapporti di produzione e quindi della proprietà capitalistica sulla terra e sulle risorse naturali.