Cari compagni,
innanzitutto, a nome del Fronte Comunista (Italia), vorremmo ringraziare il Partito Comunista di Turchia per avere ospitato questo incontro e salutare i partiti fratelli che ad esso partecipano.
È difficile trarre conclusioni compiute e definitive circa un conflitto che è ancora in atto e non accenna a finire, tuttavia sono possibili alcune valutazioni di carattere generale per definire l’atteggiamento e l’azione dei comunisti nei confronti di questa guerra.
Rifiutando la dicotomia tra aggressore e aggredito in favore di un approccio classista nella valutazione del carattere del conflitto, lo abbiamo correttamente definito come guerra imperialista, in quanto combattuta su entrambi i fronti da stati capitalistici nell’interesse delle rispettive borghesie. Ne abbiamo individuate le cause nell’acutizzazione della crisi generale del capitalismo e delle sue contraddizioni intrinseche, nel conseguente inasprimento della competizione interimperialista in seguito alla scomparsa del sistema socialista mondiale determinata dalla temporanea vittoria della controrivoluzione.
Abbiamo respinto la narrazione che considera il 24 febbraio 2022 la data d’inizio della guerra come se fosse “il punto di partenza della storia”. In realtà, il conflitto è nato, sia pure in forma latente, nel 1991, subito dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, con l’inizio dell’espansione dell’UE e della NATO verso Est e il parallelo scatenamento di un’accesa lotta tra la borghesia statunitense ed europea, alleate a settori della borghesia ucraina, da un lato e la borghesia russa, a sua volta alleata con altri settori della borghesia ucraina, dall’altro lato, per il controllo del mercato di sbocco ucraino, del potenziale industriale e delle risorse agricole del paese, nonché delle infrastrutture di trasporto del gas naturale ivi situate. Il conflitto si è inasprito nel tempo sia a causa della continua espansione della NATO e della UE, che ha raggiunto le frontiere dell’ex-Unione Sovietica ed è percepita dalla Russia come una seria minaccia alla propria sicurezza, sia a causa dell’aggressiva politica d’ingerenza del blocco USA-UE-NATO nelle vicende interne dell’Ucraina, con il sostegno prima alla “rivoluzione arancione” del 2004 e poi al golpe del 2014 che portò al potere una giunta fantoccio dell’imperialismo euro-atlantico, espressione della componente più filo-occidentale, ultra-nazionalista e apertamente nazifascista della borghesia ucraina, macchiatasi di gravi crimini ai danni di comunisti, attivisti sindacali, veterani della Grande Guerra Patriottica e del tentativo di pulizia etnica nei confronti della popolazione russa del Donbass, sottoposta per otto anni a feroci bombardamenti da parte del regime fascista di Kiev nel colpevole silenzio sia dell’Occidente politico che della Russia capitalista. Denunciare la prevalente responsabilità del blocco imperialista USA-UE-NATO per l’escalation del conflitto in Ucraina non significa negare il carattere imperialista di questa guerra o le gravi colpe del governo borghese russo per avere ostacolato il movimento antifascista del Donbass, imbrigliandolo nella trappola degli Accordi di Minsk, stravolgendone la natura proletaria, socialista e pro-sovietica, fino a farlo diventare sostanzialmente un movimento nazionalista, allineato e funzionale agli interessi dell’oligarchia finanziaria russa. I comunisti e gli antifascisti del Donbass erano invisi tanto ai fascisti ucraini quanto alla borghesia russa, che hanno operato da parti opposte ma congiuntamente per soffocare il movimento antifascista e il suo spirito originario.
Questa guerra ha una portata che va ben oltre la dimensione locale, ma investe assetti e equilibri mondiali. Il suo obiettivo non è solo l’accaparramento del potenziale economico dell’Ucraina e il controllo strategico-militare su di essa, considerato dalla Russia di vitale importanza per la propria sicurezza. In realtà, questa guerra rappresenta la prima manifestazione conclamata, dopo la scomparsa dell’URSS e del campo socialista, dello scontro epocale tra potenze imperialiste per la conservazione o la dissoluzione di un “equilibrio” mondiale basato sul predominio politico, economico e militare degli USA e, in via subordinata e non paritaria, dei loro alleati, come l’UE e gli Stati G7. Questo assetto mondiale è messo seriamente in discussione da potenze capitalistiche emergenti, in primo luogo la Cina, ma anche la Russia, l’India e gli altri Stati BRICS, che presentano dinamiche di sviluppo più vivaci rispetto al blocco ad egemonia statunitense, in evidente declino economico. Sotto lo slogan del “multipolarismo”, le potenze imperialiste emergenti rivendicano una nuova spartizione del mondo e un nuovo assetto mondiale, che assicurino loro una posizione all’interno del sistema capitalistico globale corrispondente al loro peso economico, politico e militare effettivo. Dobbiamo dissipare le illusioni e le false aspettative generate dalla parola d’ordine del “multipolarismo” spiegando con chiarezza che: 1) il “multipolarismo” non è un obiettivo da conquistare, poiché viviamo già in un mondo multipolare, dove più poli imperialisti si scontrano per una nuova spartizione del pianeta e delle sue risorse, come confermano i numerosi conflitti in atto; 2) il nuovo assetto mondiale che potrebbe derivare da tale scontro sarebbe altrettanto imperialista quanto quello attuale, poiché conserverebbe i rapporti di produzione capitalistici. Possiamo quindi dire che sia la guerra in Ucraina, che gli altri conflitti armati attualmente in atto si inseriscono nel quadro più generale della lotta tra potenze imperialiste, in particolare tra USA e Cina, per la supremazia globale all’interno del sistema capitalistico nella sua fase suprema.
L’importanza epocale della posta in gioco nella guerra in Ucraina spiega l’accanimento guerrafondaio del blocco USA-UE-NATO nel rifiutare qualsiasi negoziato di pace, anche se cominciano a manifestarsi contraddizioni tra i paesi del blocco e segni di logoramento circa gli aiuti al regime fascista ucraino. L’ipotetico disimpegno degli USA, teso a scaricare sugli alleati europei i costi connessi alla continuazione della guerra, sembra essere più uno strumento della battaglia elettorale tra repubblicani e democratici per le prossime presidenziali che non una reale volontà politica. Una retromarcia costerebbe cara agli USA e ai loro alleati in termini geostrategici, economici e di credibilità internazionale. Crediamo, quindi, che sia ragionevole aspettarsi una continuazione del conflitto fino al definitivo collasso del regime ucraino. Inoltre, la sconfitta del regime fascista ucraino sul campo di battaglia sembra profilarsi con sempre maggiore probabilità dopo il fallimento della controffensiva e le gravissime perdite in uomini, armamenti e infrastrutture critiche. Essa rappresenterebbe la sconfitta di tutta una strategia del blocco USA-UE-NATO, che porrebbe i gruppi dirigenti imperialisti di fronte al difficile problema di giustificare di fronte ai propri elettori l’enorme quantità di miliardi bruciati in una guerra perduta. Si tratta di circa 170 miliardi di dollari, considerando solo i primi cinque paesi sostenitori (USA, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna, in ordine di grandezza di spesa): una somma senza precedenti, di cui il 64% in armi e il 33% in sostegno finanziario al regime fascista ucraino, corrotto e bancarottiero, mentre solo il 3% in aiuti umanitari alla popolazione. Anche da questo punto di vista, dunque, i circoli imperialisti euro-atlantici faranno tutto quanto in loro potere per prolungare il conflitto, eventualmente congelandolo in una guerra di posizione e logoramento.
Sotto la forte pressione degli USA, l’UE ha approvato ben 13 pacchetti di sanzioni contro la Russia, che vanno ad aggiungersi a quelle unilaterali degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e di altri singoli paesi. Uno sforzo sanzionatorio, nel tentativo di far collassare l’economia russa, che non ha precedenti nella storia e che non solo non ha raggiunto l’obiettivo prefissato, ma si è rilevato fortemente autolesionista e penalizzante, almeno per l’economia europea. Infatti, mentre il PIL della Russia cresce in percentuale maggiore anche rispetto a quello degli USA, i paesi dell’UE stanno entrando in una recessione accompagnata da inflazione, uno scenario in buona parte provocato da scelte politiche volontarie dei gruppi dirigenti dell’UE, come quella di rifiutare petrolio e gas russi per acquistare lo shale gas americano a costi complessivamente superiori fino a 10 volte rispetto a quello russo, con un impatto devastante sui prezzi dell’energia, dei trasporti e, a cascata, di tutti gli altri prodotti. Per contro, gli USA hanno tratto enormi vantaggi da questa situazione. Grazie alla guerra in Ucraina, all’attacco terroristico ai gasdotti North Stream e alle sanzioni, gli USA hanno finalmente raggiunto un loro obiettivo di lunga data, quello di vendere sul mercato dell’UE il loro gas e il loro petrolio dopo il bando ai prodotti energetici russi.
L’allineamento dell’UE alla politica degli USA e della NATO fino al punto di applicare misure antirusse che con tutta evidenza arrecano un danno considerevole all’economia della stessa UE, non è solo frutto dell’ormai nota inettitudine dell’attuale dirigenza dell’UE, formatasi quasi interamente all’Università di Stanford, California e quindi legata a doppio filo agli USA, ma è soprattutto dovuta a precise valutazioni del grande capitale europeo. Bastano alcune cifre per comprenderlo. Il volume di esportazioni di beni dell’UE verso gli USA nel 2022 era pari a 527 miliardi di dollari (22% delle esportazioni totali), quello verso la Russia, nello stesso anno, ammontava a 57,7 miliardi di dollari (2,4%), quasi 10 volte meno. Se prendiamo in esame gli IDE degli USA nell’UE, nel 2022 essi ammontavano a ben 4.026,8 miliardi di dollari, quelli dell’UE negli USA a 3.396,5 miliardi di dollari, a fronte di IDE dell’UE in Russia pari a 311,4 miliardi di euro e della Russia nell’UE per 136 miliardi di euro. Anche senza considerare i rapporti finanziari con il potentissimo sistema bancario statunitense e il peso di una borsa come quella di Wall Street, è del tutto evidente come il capitale europeo sia in prevalenza legato al mercato degli USA da un rapporto di stretta interdipendenza e solo in misura minoritaria al mercato russo. Questi dati e la considerazione del fatto che la loro stessa posizione sarebbe fortemente compromessa da uno sconvolgimento dell’ordine mondiale esistente spiegano perché i settori maggioritari e dominanti del capitale europeo spingano per un rigoroso allineamento alle politiche americane.
La dimensione del mercato USA e la paura di esserne esclusi conferiscono alle pressioni degli USA, cioè alle loro minacce e ricatti, un forte potere di convincimento e coercizione anche nei confronti alcuni altri paesi terzi, ivi compresa la Cina, intimiditi dalla minaccia di sanzioni parallele, soprattutto nella sfera bancaria, dalla chiusura dei conti di corrispondenza presso banche americane fino al congelamento e alla confisca degli attivi in essere presso di esse. Questo tipo di comportamento banditesco, insieme a una invasiva politica di finta “cooperazione” che nasconde rapporti di sfruttamento e dipendenza, spiega perché un numero crescente di paesi emergenti e in via di sviluppo in Africa, America Latina e Asia si stia allontanando dagli USA e dall’UE per passare a una cooperazione più stretta con i BRICS, segnatamente con la Russia e la Cina.
La guerra in Ucraina ha avuto anche l’effetto di provocare un’ulteriore spaccatura all’interno del movimento comunista internazionale in merito all’atteggiamento nei confronti della guerra stessa, un problema che ne ha approfondito la crisi e si è aggiunto ad annose divergenze tra partiti su altre questioni ideologiche e strategiche, oltre che sullo stesso concetto di socialismo. La contemporanea presenza nella stessa Solidnet di partiti comunisti che appoggiano apertamente l’uno o l’altro schieramento belligerante (ad esempio, il PCE, che fa parte di una coalizione governativa di un paese NATO e appoggia l’Ucraina, da un lato e il PCFR, dall’altro lato, che invece appoggia il governo borghese del proprio paese) fa dubitare che si possa ancora parlare di movimento comunista internazionale, poiché il termine “movimento” presuppone almeno la condivisione di obiettivi generali. La mancanza di tale comunanza di obiettivi è stata palesata proprio dalla guerra imperialista. Le prese di posizione uguali e contrarie di alcuni partiti a favore di uno o dell’altro dei campi imperialisti in lotta di fatto chiamano il proletariato a schierarsi sotto le bandiere dei suoi sfruttatori, un atteggiamento che richiama quello degli opportunisti che fu la pietra tombale della II Internazionale e segnò la definitiva separazione dei marxisti rivoluzionari dalla socialdemocrazia.
A chi in Italia pretende di insegnarci che, di fronte alla guerra, bisogna scegliere con chi stare, rispondiamo che, di fronte a una guerra tra capitalisti, i comunisti non devono prendere posizione a favore dell’una o dell’altra borghesia belligerante, ma schierarsi risolutamente al fianco dei proletari russi e ucraini, costretti a massacrarsi in una guerra fratricida per gli interessi dei loro sfruttatori e degli imperialisti di ambo le parti. Abbiamo condiviso l’appello della II risoluzione del 22° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, che invita i proletari ucraini e russi a rivolgere le armi contro i loro governi, attuando l’indicazione di Lenin di trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria per il socialismo. Purtroppo, è una linea di difficile attuazione, poiché le organizzazioni comuniste in quei paesi o sono troppo deboli, o sono apertamente allineate alla politica del governo borghese russo.
Nonostante la censura e la martellante propaganda di guerra, basata sulla consueta falsificazione dei fatti, usata sempre come pretesto per attaccare stati sovrani non graditi, condita dalla trita e nauseabonda retorica sui “valori dell’Occidente”, della “difesa della libertà” contro “l’impero del male”, nonostante il linciaggio sui media e la persecuzione di chiunque esprima una posizione anche minimamente critica, i sondaggi dimostrano che in Italia, negli altri paesi dell’UE e della NATO e persino negli USA, una crescente maggioranza del popolo è contraria all’invio di armi in Ucraina e al sostegno di quel regime fascista.
L’Italia è fortemente coinvolta nei piani imperialisti euro-atlantici, in Ucraina, in Medio Oriente e in Africa. Il nostro nemico principale è nel nostro paese, nell’UE e nella NATO, è la borghesia imperialista che ogni partito comunista si trova a combattere nel proprio paese. Contro di esso non basta un movimento d’opinione, non bastano le pur necessarie manifestazioni di piazza. Occorre agire attivamente per la sconfitta della propria borghesia applicando la tattica leninista del disfattismo rivoluzionario, bloccando i carichi e il trasporto di armi destinate non solo ai fascisti ucraini, ma anche ai criminali sionisti impegnati nel genocidio del popolo palestinesi e alle missioni di guerra in Yemen, nel Mar Rosso e in Africa. Poiché la guerra è intrinseca al capitalismo, il movimento antimperialista di lotta per la pace deve essere orientato in senso anticapitalistico, avere al proprio centro la classe operaia e la sua avanguardia, il partito comunista e rivendicare con forza le parole d’ordine che la situazione richiede con riferimento alla guerra in Ucraina e a tutte le guerre imperialiste:
- cessazione dell’invio di armi e aiuti finanziari al governo fascista ucraino;
- revoca immediata delle sanzioni antirusse;
- no al coinvolgimento dell’Italia nei piani e nelle missioni imperialiste all’estero;
- limitazione delle spese in armamenti alle sole esigenze di difesa del paese;
- uscita dell’Italia dall’UE e dalla NATO accompagnata da un cambio rivoluzionario della classe al potere.
Con riferimento alla guerra imperialista in Ucraina, questa è la linea che il nostro Partito, il Fronte Comunista, porta avanti in Italia come parte essenziale della lotta per il socialismo-comunismo, nei limiti delle proprie forze, ma facendo affidamento sul rapporto internazionalista sempre più stretto e coordinato con i partiti fratelli.