A nome del Fronte Comunista, permettetemi di salutare i partiti fratelli che partecipano a questa videoconferenza.
Nella società italiana la disparità tra l’uomo e la donna è ancora una realtà tangibile. Come già si osserva da tempo, la crisi capitalistica colpisce doppiamente le donne proletarie e incrementa notevolmente le disparità già esistenti, dimostrando la fragilità delle conquiste sociali ottenute nel passato, che crollano una dopo l’altra dinanzi all’attacco mosso dai capitalisti ai livelli salariali, ai ritmi e alle condizioni di lavoro, nonché a ciò che resta del welfare.
L’occupazione femminile in Italia registra una serie di aspetti critici. Secondo dati Eurostat, in Italia il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni a dicembre 2022 è stato pari al 55%, ben al di sotto della media UE, pari al 69,3%.
Nel nostro paese si registra, inoltre, un divario in termini assoluti tra la popolazione maschile e quella femminile inserita nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. A ciò – come mostrano i dati – si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Questo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa. La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52%, da esigenze di cura famigliare.
L’occupazione femminile è caratterizzata anche da retribuzioni sensibilmente inferiori rispetto a quelle dei lavoratori maschi a parità di qualifiche e mansioni. Inoltre, si registrano forti differenziazioni tra maschi e femmine per settore d’attività e per mansione svolta.
Da questo punto di vista, la bassa occupazione femminile è caratterizzata da impieghi largamente precari in settori a basso livello salariale o poco strategici, con notevole diffusione del part time, che riguarda poco meno del 49% delle donne occupate contro il 26,2% degli uomini.
Anche i dati degli infortuni sul lavoro riflettono la concentrazione dell’occupazione femminile in specifici settori d’attività. In Italia, infatti, i settori con la maggiore percentuale di infortuni subiti dalle lavoratrici risultano la sanità e l’assistenza sociale, dove il 74,2% delle vittime d’infortuni sono donne, l’amministrazione pubblica, con circa il 55%, l’istruzione, con una quota superiore al 50% e il settore dei servizi domestici e famigliari (colf e badanti), con ben l’89,9% di vittime femminili sul totale delle denunce. I dati sugli infortuni riflettono anche la distribuzione geografica dell’occupazione femminile: il 60% degli infortuni di cui le lavoratrici sono vittime avviene nelle regioni del Nord, seguite dal Centro con il 20,6% dei casi e dal Sud con il 19,2%.
Questi dati mostrano un impianto del mercato del lavoro tipico di un sistema economico, sociale e culturale dove le discriminazioni di genere rappresentano un fattore strutturale consolidato.
Assistiamo anche in Italia a una crescita esponenziale delle molestie e degli omicidi di donne in ambito famigliare e sociale che riteniamo strettamente legata e conseguente a un culto del possesso e della proprietà privata, prodotta e alimentata dal modo di produzione capitalistico, che genera nuove forme di oppressione e sfruttamento all’interno dei rapporti sociali e famigliari, arrivando perfino a monetizzare la funzione riproduttiva della donna. La surrogazione di maternità a pagamento (utero in affitto) ne è un esempio.
Non possiamo dimenticare, poi, che le guerre in corso colpiscono maggiormente i soggetti meno protetti, quali le donne e i minori, come drammaticamente dimostra il genocidio in corso a Gaza, dove da ottobre ad oggi, su 29.000 morti, il 70% sono donne e bambini, assassinati dal governo sionista di Israele.
Noi comunisti affermiamo che la disuguaglianza non è conseguenza delle differenze di genere. Come affermava Aleksandra Kollontai: ”Occorre assolutamente mettere l’accento sulle differenze anatomiche della donna e sulla sua capacità di partorire (quest’ultimo compito sociale continuerà a cadere su di lei, anche quando l’uguaglianza dei diritti sarà definitivamente acquisita). Il fatto che la donna non è soltanto cittadina e forza lavoro, ma mette anche al mondo bambini, la porrà sempre in una situazione particolare. Il proletariato non può permettersi di ignorare questa realtà essenziale quando si tratta di elaborare nuovi modi di vita”.
In precedenza Engels e Marx in una bozza de “L’Ideologia Tedesca” affermarono che “la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la procreazione della prole”.
Abbiamo appreso dal successivo lavoro di Engels “L’Origine della famiglia, dello stato e della proprietà privata” come nelle società primitive, nel corso della lotta per la sopravvivenza, la divisione del lavoro in base al genere non generasse posizioni di superiorità o inferiorità sociale. Solo in seguito, con lo sviluppo della società divisa in classi, la divisione del lavoro su base di genere inizia a generare subordinazione sociale della donna, così come la riproduzione della forza lavoro da ”compito naturale delle donne” in favore di tutta la società si trasforma in un servizio privato da queste svolto nel recinto di una famiglia “privatizzata”.
Engels spiegò come il socialismo avvii il superamento delle diseguaglianze di genere, spiegando scientificamente che: (1) l’abolizione della proprietà privata e la proprietà comune dei mezzi di produzione pongono fine alle basi materiali della famiglia patriarcale monogamica esistente e «la famiglia singola cessa di essere l’unità economica della società»; (2), «L’amministrazione domestica privata si trasforma in un’industria sociale. La cura e l’educazione dei fanciulli diventa un fatto di pubblico interesse».
Questo è ciò che oggi viene impedito strutturalmente dal capitalismo e sovrastrutturalmente dalle politiche sulla famiglia dell’UE e dei governi borghesi, mentre fu effettivamente realizzato nel paese della prima rivoluzione socialista sotto la guida di Lenin e Stalin. L’unica via per l’abolizione delle disuguaglianze di classe e di genere è l’abbattimento del sistema capitalistico e la costruzione della società socialista-comunista che sola permette di formare donne e uomini nuovi, liberi e uguali.
Per questo, il Fronte Comunista (Italia) è impegnato a portare il socialismo scientifico e il suo approccio alla questione dell’emancipazione della donna all’interno dei movimenti di lotta femminili, per orientarli in senso classista, in modo da favorire la partecipazione delle lavoratrici alla costruzione del partito comunista, unico strumento per la liberazione delle donne e degli uomini dallo sfruttamento e dall’oppressione di classe e di genere.