L’11 maggio 2024, si è tenuto un incontro dell’Azione Comunista Europea (ACE) dal titolo “Conclusioni di carattere storico tratte dalla tattica dei Fronti antifascisti. La lotta contemporanea dei comunisti contro il fascismo”.
L’incontro, ospitato dal Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna, si è tenuto a Madrid, con la partecipazione di delegazioni di tutti i partiti membri dell’ACE: il Partito del Lavoro dell’Austria, il Partito Comunista Operaio – Per la Pace e il Socialismo (Finlandia), il Partito Comunista Rivoluzionario di Francia, il Partito Comunista di Grecia, il Partito dei Lavoratori d’Irlanda, il Fronte Comunista (Italia), il Nuovo Partito Comunista dei Paesi Bassi, il Partito Comunista di Svezia, il Partito Comunista Svizzero, il Partito Comunista di Turchia e l’Unione dei Comunisti di Ucraina.
Durante l’incontro, che si è svolto alcuni giorni dopo l’anniversario del Giorno della Vittoria Antifascista dei Popoli, i Partiti si sono scambiati analisi e conclusioni sulle condizioni attuali della lotta contro la reazione e l’anticomunismo e hanno condiviso i propri punti di vista sui metodi adottati dalla borghesia di ciascun paese per promuovere posizioni reazionarie in seno alla classe operaia.
I partecipanti hanno anche espresso il loro sostegno alle mobilitazioni studentesche che si stanno svolgendo in tutto il mondo in solidarietà con il popolo palestinese.
Dopo l’incontro, le delegazioni hanno reso omaggio ai 400 membri delle Brigate Internazionali sepolti presso il cimitero di Fuencarral, simbolo della lotta antifascista.
Qui di seguito il nostro contributo:
LA TATTICA DEL FRONTE POPOLARE E LA SUA APPLICAZIONE PRATICA
Contributo del Fronte Comunista d’Italia
Cari compagni,
prima di tutto vi porgo il saluto del Fronte Comunista d’Italia, a nome del quale vorrei anche ringraziare il Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna per avere ospitato questo nostro incontro.
Crediamo che una valutazione della tattica dei fronti popolari sul piano teorico e su quello della sua attuazione pratica sia utile per l’attualità che la questione riveste in termini di definizione delle tattiche dei comunisti nel quadro della fase corrente. Nelle fasi di debolezza, quali quella che sta attraversando attualmente il movimento comunista internazionale, si manifesta la tendenza a ricercarne la via d’uscita nella riproposizione di tattiche e posizioni adottate in passato, stante la difficoltà a elaborare nuove linee adeguate ai tempi.
Riteniamo che una valutazione di questo tipo non possa essere fatta con il criterio del “senno di poi”, ma collocandola nel concreto contesto storico in cui questa linea tattica viene adottata dal Comintern, cioè il 1935, anno in cui si tenne il VII Congresso dell’IC. Solo in questo modo è possibile valutare se essa abbia raggiunto gli obiettivi che si proponeva allora e se oggi sussistano ancora le ragioni che determinarono quella scelta.
Il VII Congresso del Comintern si svolse in un momento in cui il fascismo era già oltre un decennio al potere in Italia e il nazismo aveva da qualche anno assunto il controllo della Germania. Il Comintern avvertì la tendenza alla sua rapida diffusione non solo in Europa, la minaccia che ciò rappresentava per il movimento operaio e per l’umanità in termini di cancellazione di libertà e diritti sul piano della politica interna, di spinta alla guerra imperialista in politica estera.
Nelle relazioni introduttive di Wilhem Pieck e Georgi Dimitrov, fu tracciato un bilancio autocritico del lavoro svolto dopo il precedente VI Congresso, rilevando come, in rapporto al fascismo, nell’attività dei comunisti si fossero verificati due errori uguali e contrari: da un lato, una sottovalutazione del pericolo fascista e della sua capacità di attrarre, organizzare e manipolare le masse piccolo-borghesi, il sottoproletariato e addirittura settori di proletariato; dall’altro lato, l’opposta tendenza a vedere il fascismo anche là, dove non c’era, classificando come fascisti governi borghesi che fascisti non erano.
Riteniamo che tali errori fossero dovuti a diverse ragioni: 1) fino al VII Congresso del Comintern, i comunisti mancavano ancora di una determinazione scientifica della sostanza e delle basi del fascismo, il che impediva una corretta comprensione del fenomeno e di come lottare contro di esso; tale lacuna fu colmata dalla ben nota definizione fornita da Dimitrov nell’ambito di un’analisi del fascismo, assai approfondita per quei tempi, che ne coglieva efficacemente la natura generale, individuandone la base economica nel capitale finanziario, la base sociale nella piccola borghesia, nel sottoproletariato e in settori di proletariato arretrato, ingannato dalla demagogia fascista, la base politica nell’aperta dittatura, terroristica e violenta, diretta principalmente contro il movimento operaio e i comunisti e, proprio per questo, anche contro la stessa democrazia borghese; 2) la critica e la propaganda comuniste, nel periodo precedente il VII Congresso, erano concentrate con prevalenza e maggiore intensità contro l’opportunismo della socialdemocrazia, contro il cosiddetto “socialfascismo”, piuttosto che contro il fascismo stesso; ciò era assolutamente comprensibile, poiché la socialdemocrazia aveva appoggiato la guerra imperialista, dove era al potere aveva represso nel sangue le rivoluzioni proletarie, aveva in generale rifiutato qualsiasi forma di collaborazione con i comunisti preferendole la collaborazione di classe con i governi borghesi e, così facendo, aveva posto in stallo la tattica del fronte unico del proletariato, favorendo di fatto l’ascesa del fascismo; 3) il VI Congresso aveva rilanciato la tattica del fronte unico, ribadendo che l’unità del proletariato andava perseguita, mantenendo intatte l’autonomia ideologica e la critica dell’opportunismo al fine di conquistare la maggioranza del movimento operaio; era stata anche riaffermata la necessità di intensificare l’attività tra i lavoratori non proletari, i contadini e anche settori di piccola borghesia intellettuale, superando ogni forma di settarismo, per costruire forme di alleanza sociale della classe operaia con questi ceti popolari; purtroppo, al di là dell’adesione di principio, questa linea non fu attuata come avrebbe dovuto perché stentava a essere messa in pratica da alcune sezioni dell’Internazionale Comunista, soprattutto là, dove più forte era l’influenza delle posizioni settarie dei “comunisti di sinistra”, come in Italia e in Germania, o dove sopravvivevano posizioni trotzkiste, regalando questi ceti popolari non proletari alla manipolazione da parte dei fascisti e condannando così il proletariato a una condizione di isolamento di fatto; a ciò contribuì anche il fatto di non poco conto che la socialdemocrazia, in Germania e in molti paesi europei, nel suo tentativo compromissorio con il grande capitale, aveva condotto nel nome della classe operaia una politica contraria, o percepita come tale, agli interessi dei contadini e della piccola borghesia, consentendo di fatto al fascismo la conquista del consenso di questi ceti; 5) infine, fu sottovalutata, se non addirittura ignorata, l’influenza dell’offesa al sentimento nazionale in risultato della guerra imperialista, lasciato come potente strumento di manipolazione nella mani dei fascisti in Italia (“la vittoria mutilata“) e dei nazisti in Germania (la vergogna della “resa di Versailles”), permettendo loro di coltivare il peggiore revanchismo e l’odio zoologico più bieco nei confronti degli altri popoli, configurati come “nemico esterno” per deviare dalla borghesia nazionale la sacrosanta rabbia popolare per la macelleria atroce della guerra e per una pace imperialista che certo non portava giustizia. Queste sono, a nostro parere, le ragioni che avevano determinato gli errori citati da Pieck e da Dimitrov nei loro rapporti al VII Congresso del Comintern, il quale, dunque, attraverso l’adozione della tattica del fronte popolare, era finalizzato alla correzione degli errori pregressi e all’adeguamento dell’attività dei comunisti alle nuove condizioni storiche, determinatesi con l’affermazione del fascismo.
In sintesi molto estrema, la nuova tattica consisteva nel cambiamento dell’obiettivo tattico primario a breve termine senza rinunciare all’obiettivo strategico della rivoluzione socialista, per cui il lavoro teso ad accumulare forze per la rivoluzione conquistando la maggioranza del proletariato nel quadro del fronte unico e lo sviluppo della lotta per il rovesciamento del capitalismo e l’instaurazione del potere operaio dovevano temporaneamente passare in secondo piano rispetto alla lotta immediata per il rovesciamento del fascismo e per la salvaguardia della democrazia borghese, che era diventata una priorità; per combattere il fascismo sarebbe stato necessario costruire alleanze sociali più ampie con ceti non proletari fino a settori di borghesia capitalistica, ricercare intese politiche non solo con la socialdemocrazia, ma anche con gli altri partiti borghesi antifascisti e addirittura autorizzare le sezioni nazionali del Comintern a partecipare a governi frontisti insieme ad altri partiti. In sostanza, il nemico principale in senso leninista, sconfiggere il quale assumeva priorità assoluta, veniva individuato nel fascismo. Di fatto, è una tattica analoga a quella che Lenin aveva adottato nella prima fase della rivoluzione in Russia per abbattere l’autocrazia come presupposto per qualsiasi ulteriore sviluppo rivoluzionario. Collegandosi all’insegnamento di Engels e Lenin, i quali con ragione sostenevano che per il proletariato sono preferibili condizioni politiche in cui può lottare più o meno apertamente, rispetto a situazioni in cui è costretto alla clandestinità, Dimitrov motivò l’adeguamento di tattica argomentando che, in quel dato momento storico, con quei rapporti di forza e in quelle condizioni oggettive, la scelta immediata non si poneva tra capitalismo e socialismo, tra democrazia borghese e dittatura proletaria, ma tra fascismo e democrazia borghese, intesa come la condizione più favorevole al proletariato tra tutte quelle realisticamente possibili allora. Al tempo stesso, Dimitrov riaffermava esplicitamente la concezione dialettica e di classe sottesa dalle categorie in questione, per cui fascismo e democrazia borghese, nonostante le innegabili differenze tra loro, rappresentano due aspetti diversi della stessa dittatura della borghesia capitalistica.
Da quanto detto possiamo trarre alcune conclusioni.
1. La tattica del fronte popolare fu elaborata dall’Internazionale per combattere il fascismo al potere come nemico principale e fermare la sua espansione. Questa è la logica che sta dietro al cambio tattico di obiettivo immediato e alla ricerca di alleanze sociali e politiche più vaste, difficilmente giustificabili in altre condizioni e in altri contesti.
2. La consapevolezza del ruolo dell’Unione Sovietica come primo e unico Stato proletario al mondo e principale baluardo contro il fascismo e, pertanto, della necessità di difenderla con ogni mezzo furono un punto fermo centrale nella tattica del fronte popolare, come bene esprimeva Togliatti nella sua relazione al VII Congresso: “In questa fase storica, in cui in un sesto del globo l’Unione Sovietica difende il socialismo e la pace per tutta l’umanità, gli interessi vitali degli operai e dei lavoratori di tutti i paesi richiedono che la politica della classe operaia, la lotta per la pace, la lotta contro la guerra imperialista prima e dopo lo scoppio delle ostilità siano condotte nell’ottica della protezione dell’Unione Sovietica“. La tattica del fronte popolare è quindi anche uno strumento per la difesa dell’Unione Sovietica in quanto Stato socialista, ma al tempo stesso l’Unione Sovietica è il supporto politico-ideologico e materiale che rende attuabile la tattica del fronte popolare.
3. La tattica del fronte popolare non è in contraddizione con e non abiura alla tattica del fronte unico della classe operaia. L’unità del proletariato e una salda egemonia comunista sono i presupposti necessari per costruire alleanze sociali e intese politiche in cui i partiti comunisti e la classe operaia siano alla testa e non alla coda di altre forze o classi. In questo senso, il fronte popolare è ampliamento e continuazione della tattica del fronte unico, pur nella diversità di obiettivi a breve termine. L’ampliamento dello spettro di alleanze sociali e politiche della classe operaia con ceti non proletari, anche con settori di borghesia e con i partiti che li rappresentavano non rappresentò un arretramento dalle posizioni rivoluzionarie. Da un punto di vista marxista-leninista, non sono le alleanze, la loro ampiezza e composizione, o i compromessi su cui si reggono, a rivestire importanza primaria, ma il mantenimento dei principi ideologici e degli obiettivi strategici dei comunisti, come ci insegna lo stesso Marx: “in politica, per raggiungere un certo obiettivo, puoi allearti anche con il diavolo stesso: devi solo essere sicuro di essere tu a condurre il diavolo, e non il diavolo a condurre te“. [K. Marx, F. Engels, Opere Complete, Ed. Političeskaya Literatura, vol. 8, p. 410]. In merito a ciò le relazioni dell’Esecutivo e le risoluzioni approvate dal VII Congresso ribadivano in più punti il mantenimento dell’obiettivo strategico della costruzione del socialismo e la consapevolezza che il fascismo potesse essere definitivamente sconfitto solo con l’abbattimento del capitalismo che lo genera. Non si riscontrano in questo cedimenti strategici di sapore opportunista o revisionista, almeno nelle intenzioni, ma adattamenti tattici alla nuova realtà.
4. La tattica del fronte popolare non riuscì a impedire l’ascesa al potere del fascismo e la sua espansione al di fuori dell’Italia e della Germania, soprattutto a causa dell’instabilità e dell’attendismo della socialdemocrazia e degli altri partiti antifascisti borghesi e del ritardo nella piena comprensione della portata del fenomeno fascista. Tuttavia, si rivelò efficace e vincente nell’organizzare la resistenza armata nei paesi occupati dalle forze del Patto Anticomintern e la liberazione dei popoli dal nazifascismo, grazie al ruolo dirigente dei Partiti Comunisti all’interno delle coalizioni antifasciste. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il mantenimento del ruolo egemone esercitato durante la lotta armata e il prestigio conquistato dall’URSS con la Grande Vittoria sul nazifascismo permisero ai Partiti Comunisti e Operai dell’Europa Orientale di utilizzare i fronti popolari usciti dalla lotta di liberazione dal fascismo come forma di governo delle neonate democrazie popolari avviate sulla via del socialismo. In alcuni casi, come in Polonia, in Ungheria e nella Germania Democratica ebbero luogo anche fusioni tra partiti comunisti e socialdemocratici che superavano la storica separazione avvenuta con la Prima Guerra Mondiale.
In definitiva, riteniamo che la tattica del fronte popolare fosse nel complesso adeguata a quel contesto storico di fascismo al potere e a quella situazione internazionale di costante minaccia alla pace e all’Unione Sovietica. Le problematicità, a nostro parere, si riscontrano nelle interpretazioni e nelle forme che alcuni partiti diedero all’attuazione delle direttive tattiche dell’Internazionale Comunista.
5. Il cambio di obiettivo tattico prioritario e la scelta di difendere la democrazia borghese di fronte all’attacco fascista furono interpretati in modo sbagliato da alcuni partiti. Concentrare la propaganda e l’azione sulla lotta al fascismo per ripristinare almeno la democrazia borghese non significa escludere sbocchi più avanzati dove le condizioni oggettive lo consentano. Ritenere che prima si debba restaurare la democrazia borghese e soltanto dopo si possa lottare per una democrazia operaia è un errore dovuto a una errata visione gradualistica dei processi storici e della politica che non era nelle intenzioni del Comintern. Questa stessa logica porterà alcuni partiti a gravi deviazioni opportuniste e a sfumare nel tempo la prospettiva rivoluzionaria della presa del potere fino a perderla completamente e accettare il recinto dello Stato e della democrazia borghesi. Alcuni partiti comunisti, anche dopo la liberazione dal fascismo, quindi in condizioni radicalmente mutate rispetto a quelle in cui venne elaborata la tattica del fronte popolare, congelarono la propria linea politica sul tentativo di mantenere l’unità antifascista. L’unità antifascista da strumento tattico diventava così obiettivo strategico che nel tempo avrebbe offuscato e sostituito definitivamente l’obiettivo della conquista del potere, con un’inversione tra tattica e strategia tipica del peggiore opportunismo.
La situazione oggi non è certo paragonabile a quella degli anni in cui il Comintern concepì la tattica del fronte popolare, quando pressoché tutta l’Europa era dominata da regimi nazifascisti o assai affini. Tuttavia la minaccia fascista è tutt’altro che cessata e i comunisti devono mantenere alta la vigilanza e individuare forme di lotta al fascismo adeguate ai tempi.
In tutto il mondo, in particolare in Unione Europea, possiamo notare una recrudescenza di movimenti razzisti e xenofobi, dichiaratamente nazifascisti, che cercano di guadagnare consenso tra la piccola borghesia, il sottoproletariato e anche all’interno del proletariato. Strumentalizzando demagogicamente il malcontento popolare per i problemi reali creati dal capitalismo e dalla sua crisi, cercano di raggruppare attorno a sé quella che fu la base di massa del fascismo diffondendo una anti-cultura fatta di culto della forza, della sopraffazione e della violenza, odio razziale, disprezzo per le donne, i più deboli, i diversi in generale. Oltre all’estremismo fascista movimentista, destano preoccupazione anche i partiti della destra sovranista, fascisti in doppio petto che stanno raccogliendo crescenti consensi in tutta Europa e sono presenti nelle istituzioni dell’UE.
Assistiamo inoltre a una grave involuzione reazionaria e autoritaria di tutti gli stati capitalistici, in un processo che potrebbe essere definito di “fascistizzazione dello Stato”, con un uso crescente di metodi di pressione e repressione classista tipici del fascismo. Tuttavia solo in rarissimi casi, ad esempio in Ucraina o in Israele, possiamo parlare di fascismo al potere. Anche lo Stato liberale utilizza polizia, carceri, tribunali, esercito e burocrazia per la repressione e l’oppressione del proletariato, ma spazi di agibilità politica e diritti democratici, più o meno estesi, sopravvivono comunque. Ciò che differenzia il fascismo nella sostanza non sono tanto i metodi terroristici, ma l’occupazione totale di tutti gli spazi politici, la soppressione di tutti i diritti democratici, il controllo spionistico totale sui cittadini da parte dello Stato, l’organizzazione corporativa dell’economia e della società al servizio del capitale finanziario, l’organizzazione paramilitare della piccola borghesia e del sottoproletariato che svolgono il lavoro illegale e violento per conto dello Stato e costituiscono lo zoccolo duro del consenso al regime, da cui la definizione data da Togliatti del fascismo come “regime reazionario di massa”.Crediamo che questo processo vada combattuto con forza, prima di tutto attraverso la presenza costante e il lavoro politico di massa, primariamente nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, nei quartieri popolari e, quando e dove possibile, anche nelle istituzioni politiche borghesi. Se parliamo di tattica, pur ritenendola adeguata alle condizioni storiche in cui fu concepita, non crediamo che la tattica del fronte popolare sia riproponibile allo stesso modo nella situazione attuale.
Innanzitutto, i partiti socialdemocratici tradizionali hanno da tempo cessato di essere rappresentativi di una parte del movimento operaio e sono oggi espressione politica esplicita del grande capitale, dopo avere abbandonando ogni riferimento, anche puramente formale, al socialismo; in generale, è terminata l’epoca dei partiti di massa tipici del XX secolo, trasformatisi in comitati elettorali personali di questo o quel leader. Inoltre, non vi è quasi più differenza di programmi tra i partiti socialdemocratici e gli altri partiti borghesi, poiché tutti sono partiti di gestione dello stesso sistema capitalistico. Anzi, in molti casi i partiti cosiddetti “di sinistra” si dimostrano più antidemocratici, più antipopolari e più guerrafondai di quelli cosiddetti “di destra”. Pertanto, in un contesto politico di questo tipo, le intese politiche con altri partiti e tanto meno la partecipazione dei comunisti a governi di coalizione “progressisti” o “antifascisti” sul modello dei fronti popolari sono da escludere. Diciamo chiaramente che le proposte di “fronti popolari”, “coalizioni democratiche”, “alleanze antifasciste”, ecc., sono trappole costruite per distrarre il proletariato dalla lotta rivoluzionaria per il socialismo. I partiti socialdemocratici vecchi e nuovi e i partiti borghesi utilizzano lo spauracchio del fascismo per raccogliere voti alle elezioni, assicurare la stabilità dei loro governi e sopire la lotta di classe, salvo poi attuare essi stessi le peggiori e più brutali politiche antioperaie e antipopolari.
Ciò che invece è possibile e deve essere praticato, lavorando anche tra strati e gruppi sociali non proletari che non dobbiamo lasciare preda della propaganda fascista, è lo sviluppo delle alleanze sociali della classe operaiaanche per costituire la base di massa di un vasto movimento antifascista, orientato decisamente in senso anticapitalista come lo fu la Resistenza, che difenda ciò che rimane delle garanzie costituzionali e dei diritti democratici, non per restaurare la democrazia borghese così come era, ma per non arretrare ulteriormente e superarla in direzione della democrazia socialista. Precondizione per poter svolgere questo lavoro con successo è che i comunisti accumulino le forze e consolidino il partito con ogni mezzo, difendendone l’autonomia ideologica e diffondendone la presenza e la voce tra la classe operaia e i lavoratori, i contadini, gli studenti, le donne, tutti gli sfruttati e gli oppressi, per prepararsi a sferrare il contrattacco, per rilanciare la lotta rivoluzionaria per il socialismo-comunismo.
Madrid, 11 maggio 2024