Secondo l’OCSE in Italia, nel primo trimestre del 2024, i salari reali sono stati ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia sebbene nel nostro Paese, come nella maggior parte dei Paesi, «ci sia spazio per i profitti per assorbire ulteriori aumenti salariali».
Che perfino un’organizzazione borghese riconosca quanto la narrativa padronale sulle presunte difficoltà a fatturare sia solo un pretesto per scaricare la crisi sulla classe lavoratrice è significativo delle proporzioni che questa tendenza ha assunto.
Il tasso di disoccupazione in Italia, continua l’OCSE, nonostante il trionfalismo del governo circa il boom delle assunzioni, si è attestato ancora al 6,8% mentre il tasso di occupazione al 62,1%, persino più basso rispetto a quello degli altri paesi OCSE (70,2% nel primo trimestre 2024). Questi sono numeri che permettono alla borghesia italiana, che trova già campo libero grazie al carattere collaborazionista dei maggiori sindacati, di esacerbare il suo carattere ricattatorio e il tasso di sfruttamento dei lavoratori. Basti pensare che oggi 20% dei giovani dopo cinque anni di lavoro è ancora precario, e già nella Economic Survey di gennaio l’OCSE segnalava che è soprattutto il basso costo del lavoro che rende l’economia italiana competitiva al livello internazionale.
Questi dati, va detto, non sono solo il frutto degli ultimi 21 mesi di governo Meloni ma, anche, delle politiche antipopolari del governo Draghi e del governo Conte II – sostenuto, ricordiamolo, anche da partiti come Sinistra Italiana, che oggi si atteggiano a formazioni controcorrente rispetto al centro-sinistra. Questi due governi hanno utilizzando la quasi totalità delle risorse pubbliche disponibili per offrire alle imprese agevolazioni prive di ogni condizionalità. Solo nei primi nove mesi di pandemia del 2020, ad esempio, alle imprese sono andati 67 miliardi sotto forma di agevolazioni ed esenzioni fiscali, contributi a fondo perduto e garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari, uno stanziamento che oggi la classe lavoratrice sta pagando attraverso imposte e tagli attuati per moderare la crescita del debito pubblico. È una cifra pari al 60% delle risorse stanziate, quota che fa impallidire il 10% destinato ai lavoratori dipendenti e autonomi, e il 26% dedicato alla Cassa integrazione. Ancora, il governo Conte II ha mantenuto leggi finalizzate a depotenziare le lotte operaie come il Decreto Sicurezza e tutti gli impegni presi con la NATO: a drenare risorse da servizi pubblici e salari, nel 2021 le spese militari italiane si sono aggirate intorno ai 25,6 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 24,1 miliardi del 2020 e ai 22,5 miliardi del 2019.
I numeri dell’OCSE e le responsabilità storiche di questa situazione rendono chiaro come sia illusorio, al fine di “battere la destra”, riproporre coalizioni di stampo “socialdemocratico” come quelle che hanno contribuito a governare l’Italia, e altri Paesi, negli ultimi 30 anni. Rilanciamo invece la necessità di un partito comunista, che lotti per un modello economico veramente alternativo a quello capitalista, capace di organizzare i lavoratori e i proletari tutti per boicottare i rapporti di forza padronali e prendere il potere materiale all’interno della società.
Commissione Lavoro del Fronte Comunista