Le classi dominanti in tutto il mondo stanno portando avanti, oramai da un anno e mezzo, una retorica secondo la quale il carattere improvviso dell’emergenza sanitaria e della crisi pandemica da Covid-19 giustificherebbe le insufficienze e i ritardi nell’attuazione di adeguate misure di assistenza sanitaria e di contenimento dei contagi. Questa narrazione autoassolutoria e infondata deve essere respinta, in quanto le responsabilità politiche dei governi che hanno scelto di tutelare il profitto prima della salute e delle necessità delle classi lavoratrici e dei popoli in tutto il mondo sono evidenti e in nessun modo attenuate dall’imprevedibilità della pandemia.
Sistemi sanitari e servizi falcidiati da anni di tagli alla spesa sociale, privatizzazioni e aziendalizzazioni, misure di contenimento inadeguate o tardive, ineguali e insufficienti disponibilità e distribuzione dei vaccini prodotti dalle case farmaceutiche hanno contribuito in maniera rilevante al verificarsi di milioni di vittime in tutto il mondo, di cui più di centotrentamila in Italia. Queste dinamiche, direttamente ascrivibili alla natura del sistema nel quale viviamo, dimostrano che il capitalismo in tutto il mondo non è in grado di rispondere alle necessità della maggioranza dei lavoratori e dei popoli .
Sotto questa lente possono essere lette le misure di contrasto alla pandemia e di gestione della crisi pandemica attuate dai governi che in Italia si sono succeduti dallo scoppio della pandemia di Covid-19 a oggi. Riuscire ad analizzare e criticare queste misure deve essere obiettivo e compito dei comunisti, consapevoli che l’impostazione irrazionale del dibattito pubblico e delle posizioni che di volta in volta vengono poste al centro della discussione – aperturisti/rigoristi, pro-vax/no-vax, ecc., ecc – sono del tutto funzionali all’offuscamento delle responsabilità politiche delle forze di governo e degli interessi economici che esse tutelano.
Diverse forze di classe e della sinistra radicale stanno subendo l’influenza del dibattito mediatico e finiscono per posizionarsi secondo la polarizzazione in atto, facendo quindi il gioco del campo avversario. È fondamentale per i comunisti riuscire ad elaborare e diffondere una propria visione del mondo che non si appiattisca su nessuna delle narrazioni che la borghesia impone all’ordine del giorno e che sia realmente alternativa, evitando così di accodare il proletariato agli interessi di questo o quel settore degli avversari di classe. Assumere la propria posizione indipendente significa anche non prestare il fianco ad ambiguità di sorta, a formulazioni che possano essere soggette a interpretazione, magari nel tentativo di non inimicarsi fasce di consenso. I comunisti hanno il dovere di rispettare la complessità delle questioni esprimendo in maniera articolata e non riduzionista le proprie posizioni, senza che questo si traduca mai, però, in formulazioni dai contorni indefiniti.
In linea con ciò è importante ribadire che il vaccino è uno strumento centrale, anche se non l’unico, nel contrasto alla diffusione del COVID 19, come dimostrano la sua efficacia nella limitazione della trasmissione del virus e, in caso di contagio, i tassi di ospedalizzazione e sviluppo di sintomatologie gravi decisamente più bassi nella popolazione vaccinata. I ritardi nella campagna vaccinale e la difficoltà nell’avviarla e condurla uniformemente su tutto il territorio nazionale sono ascrivibili al governo Conte prima e al governo Draghi poi, ma sono soprattutto diretta conseguenza degli ingenti tagli ai servizi sanitari pubblici, attuati da tutti i governi borghesi negli ultimi 30 anni nel contesto di un progressivo smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). A fronte di ciò riteniamo fondamentale ribadire la necessità di un piano vaccinale universale che renda effettivo il diritto di accesso alla vaccinazione e alle cure, elemento reso ancora più cogente se si considera che un’ampia fetta della popolazione italiana non ha ultimato il ciclo vaccinale.
Nel sostenere l’importanza del vaccino non si può non rilevare il carattere regressivo di quelle posizioni che, richiamandosi a un concetto malinteso e individualistico di “libertà”, si oppongono all’idea dell’obbligatorietà del vaccino. Un’idea di “libertà” come valore astratto e assoluto, posto al di fuori del contesto storico, dei rapporti tra le classi e tra interesse individuale e collettivo, in modo del tutto avulso dalla dimensione sociale in cui viviamo, che è tipica di impostazioni borghesi che mascherano dietro questa concezione, nociva e fuorviante per i proletari e le classi popolari, precisi interessi di classe. L’idea, quindi, che una libertà individuale, concepita come contrapposta agli interessi del resto della società, debba prevalere sul diritto collettivo di difendersi dal contagio è funzionale alla deresponsabilizzazione delle classi dominanti, incapaci di assicurare l’universalità della prestazione vaccinale e va combattuta al pari dell’idea dell’induzione alla vaccinazione per “convincimento”, che finisce con lo scaricare sul singolo la responsabilità di un diritto che deve essere garantito dallo Stato e può essere attuata proprio con la rivendicazione dell’obbligo vaccinale nel contesto di una vaccinazione di massa.
Siamo consapevoli che la campagna vaccinale è terreno di concorrenza fra i grandi gruppi del settore farmaceutico per i profitti che genera. Tale dinamica è evidente, ad esempio, nelle caratteristiche dei principali vaccini che, pur rispondendo a requisiti di efficacia e sicurezza necessari ad essere commerciabili sul mercato, presentano problematicità per la produzione su larga scala e la distribuzione in zone prive di determinate infrastrutture, così come è vero che i grandi monopoli farmaceutici hanno sfruttato la loro posizione dominante per ottenere condizioni maggiormente favorevoli da parte dei governi europei prima di assicurare le forniture e che è sempre in base alle logiche del mercato capitalistico che le multinazionali del farmaco di fatto negano l’accesso al vaccino a milioni di persone in Asia, Africa e America Latina. Queste scelte, rispondenti agli interessi delle principali potenze imperialiste, sono alla base della diffusione del contagio in quelle regioni. La circolazione del virus in quelle aree e l’insorgere proprio in quei contesti di nuove varianti virali dimostrano la necessità di impostare il contrasto al Covid-19 su un piano internazionale, non solo rivendicando l’espropriazione dei brevetti sui vaccini, ma incrementando la lotta dei lavoratori e delle classi popolari in tutto il mondo per l’accessibilità e l’universalità del vaccino, in un contesto di sistema sanitario pubblico e gratuito.
L’argomentazione secondo cui sottrarsi al vaccino prodotto dai grandi gruppi del settore farmaceutico equivalga a minarne gli interessi economici o l’influenza nel settore sanitario è fallace e fuorviante; basta la semplice constatazione che anche la produzione e la vendita di qualsiasi tipo di materiali biomedicali e di farmaci, compresi quelli impiegati nella cura dei malati di Covid-19, in condizioni di capitalismo, rappresenta un’occasione di profitto per le multinazionali che li producono. Il carattere di monopolio privato nell’ambito della produzione sanitaria determina questa pervasività delle multinazionali del settore, secondo una dinamica che è comune, in varie forme, a tutti i settori dell’economia capitalistica. Il carattere pubblico della produzione farmaceutica e biomedicale può rappresentare una via d’uscita da questa situazione. Ne è un esempio Cuba socialista, il cui sistema, pur con una capacità industriale e una disponibilità di materie prime limitate per via del Bloqueo imperialista che ne soffoca da decenni l’economia, garantisce una produzione di vaccini totalmente pubblica che ha fatto di Cuba il primo paese al mondo in grado di vaccinare tutti i bambini sopra i 2 anni, garantendone il rientro a scuola in totale sicurezza. La giusta lotta contro i monopoli non deve quindi tradursi in un cedimento a visioni pseudo-scientifiche, funzionali a nascondere le insufficienze del sistema capitalistico nel far fronte ai bisogni dell’umanità. La consapevolezza che anche i portati della scienza hanno una connotazione storicamente data e possono essere rispondenti a precisi interessi di classe non deve indurre i comunisti a rifiutare il pensiero e il sapere scientifico in sé. La costruzione del socialismo, obiettivo centrale nella prospettiva dei comunisti, implica anche l’edificazione di una società in cui scienza e tecnica, sotto il controllo operaio e popolare, permettono di incrementare la ricchezza sociale fino a costituire una solida base tecnico-materiale per il soddisfacimento dei bisogni della società stessa, sia materiali che spirituali.
Ad ogni modo, insistere sull’importanza del vaccino non deve tradursi nell’idea che esso sia di per sé l’unico strumento di contrasto al virus. Affermare questo significherebbe sottostimare la rilevanza di strumenti di prevenzione, quali il potenziamento del trasporto pubblico e la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e di studio, contesti dimostratisi fra i principali luoghi di diffusione del virus. Questi punti, insieme ad una riforma volta a garantire l’effettiva gratuità dell’assistenza sanitaria e al potenziamento del SSN – la cui gestione aziendalistica e progressiva privatizzazione, avendo ancora una volta, con la crisi pandemica, dimostrato la propria dannosità, devono essere eliminate -, rientrano a pieno titolo tra le rivendicazioni dei comunisti. Una seria riforma del Sistema Sanitario non deve però limitarsi alla semplice rivendicazione di una maggiore presenza dello Stato o ad un aumento degli investimenti, elementi minimi e di per sé non sufficienti a garantire un reale cambio di paradigma nel contesto di mercato nel quale il SSN opera. Neppure una maggiore quantità di risorse destinate al Sistema Sanitario sarebbe risolutiva se accompagnata al mantenimento dell’attuale gestione aziendalista e dei criteri privatistici che caratterizzano oggi anche la sanità pubblica. La trasformazione delle strutture sanitarie in aziende ha introdotto vincoli amministrativi e obblighi di pareggio di bilancio, se non addirittura di produzione di utili in base a criteri puramente contabili, del tutto scollegati dai bisogni reali di assistenza medico-sanitaria delle classi popolari. Il perseguimento di questi obiettivi ha avuto come conseguenze: 1) una rincorsa al risparmio di spesa attraverso tagli ai posti letto, al personale medico-sanitario e alle prestazioni in generale; 2) la chiusura di molte strutture ospedaliere nei territori periferici e la concentrazione delle prestazioni sanitarie nei soli centri di maggiore rilievo, lasciando intere zone del territorio totalmente prive di presidi sanitari; 3) la selezione delle prestazioni erogabili sulla base di calcoli di convenienza di bilancio, anziché delle necessità reali della popolazione; 4) un cronico sottodimensionamento del personale e la proliferazione di situazioni di precarietà contrattuale e instabilità del servizio. In condizioni di pandemia, ne è derivata una sostanziale incapacità del sistema a garantire sia un’adeguata risposta all’emergenza COVID, sia la necessaria assistenza a pazienti affetti da altre patologie, a cui non poteva essere erogata la prestazione a causa della conversione dei reparti e del personale, già insufficienti in condizioni normali, al trattamento dei soli malati COVID. Una riforma della sanità deve quindi prevedere il definitivo superamento di questi criteri, a partire da quelli gestionali, sancendo la fine delle privatizzazioni e del finanziamento alla sanità privata, la regolarizzazione del personale in servizio, nuove assunzioni, il potenziamento delle strutture ospedaliere esistenti e la riapertura di quelle territoriali dismesse, l’abbandono della regionalizzazione in un’ottica di gestione centralizzata da parte dello Stato che garantisca a tutti uguale qualità di prestazioni, il potenziamento della rete dei medici di base, per un Sistema Sanitario Nazionale realmente pubblico, territorialmente diffuso e gratuito, in grado di rispondere ai bisogni dei proletari e del popolo in modo efficace e qualificato. Non è un caso che, invece, governi e Confindustria abbiano alimentato l’idea che il vaccino possa essere da solo e di per sé lo strumento risolutivo, un’impostazione “messianica” e irrazionale tenuta anche in relazione ai primi lockdown, quando si tentava di sostenere che luoghi di lavoro e di trasporto fossero sicuri e che fossero sufficienti restrizioni nella sfera del tempo libero per contrastare efficacemente il virus. Simili impostazioni sono state e sono la cartina al tornasole di specifiche scelte politiche che hanno trasformato la salute del popolo in una merce da cui estrarre profitto, senza investire in sanità, servizi e trasporti, destinando la maggior parte delle risorse pubbliche al sostegno degli interessi dei capitalisti.
Abbiamo assistito ad un progressivo disimpegno dello Stato nella gestione pubblica dell’emergenza sanitaria, al quale sono state funzionali, come elemento atto a scaricare sul singolo la responsabilità dei contagi, le campagne mediatiche che di volta in volta hanno imputato ai runner, alla movida o ad altri contesti secondari la diffusione del virus. In quest’ottica appare chiara la natura delle misure attuate dal governo italiano in relazione al “green pass”: in mancanza della volontà politica di investire su sanità, servizi e sicurezza e in assenza di una assunzione di responsabilità da parte del governo circa l’istituzione dell’obbligo vaccinale, il green pass rappresenta una misura di facciata dietro cui nascondersi.
Le ragioni per cui non viene introdotto l’obbligo vaccinale possono essere le più disparate, da considerazioni politiche di tenuta dell’attuale maggioranza di governo o di gestione del consenso di settori sociali del paese, fino a motivazioni di bilancio, tese a limitare la crescita della spesa sanitaria che deriverebbe da un’estensione delle vaccinazioni ai recalcitranti o a oggettivi fenomeni di scarsità, legati alle capacità produttive dei fornitori. Il green pass è, dunque, una soluzione di comodo che permette di non affrontare queste possibili problematicità. Il vero pericolo che l’obbligo di possesso di questa documentazione comporta sta nella radicalizzazione delle argomentazioni e nella polarizzazione della discussione in due tifoserie contrapposte, tra chi è a favore e chi è contrario, rischiando di trasformare il certificato verde in un elemento di divisione e di distrazione dei lavoratori da quelli che dovrebbero essere i veri temi e obiettivi di lotta. Un rischio che non esisterebbe in un contesto di obbligo vaccinale, in quanto la certificazione stessa, come prerequisito per l’esercizio di diritti e la libertà di circolazione, verrebbe a perdere qualsiasi significato. Così come, con l’obbligo vaccinale, il tampone, che noi vogliamo gratuito per i lavoratori e a carico dei datori di lavoro perché è un mezzo di monitoraggio efficace, cesserebbe di essere utilizzato come alibi sostitutivo del vaccino, che, invece, è un mezzo di prevenzione.
Ciò detto, non si può che condannare l’atteggiamento di Confindustria che, sempre in nome del profitto e della prosecuzione ad ogni costo dell’attività produttiva per i propri interessi, ha prima asserito la presunta sicurezza dei luoghi di lavoro per poi, invece, imporre il green pass ai lavoratori in nome di quella stessa sicurezza, celando i propri interessi economici dietro la retorica della loro tutela. In questo senso il green pass funge da giustificazione ad un paternalismo padronale che deve essere combattuto. La sicurezza sui luoghi di lavoro deve essere un obiettivo di lotta dei lavoratori stessi, anche utilizzando strumenti ancora esistenti, come gli RLS nelle aziende. Il tema della sicurezza sul lavoro è una delle più evidenti manifestazioni del conflitto fra padroni e proletari, che i comunisti e le avanguardie sindacali devono affrontare con l’intento di promuovere un uso progressivo e conflittuale di questi strumenti, senza limitarsi ad attendere l’intervento degli ispettorati del lavoro – istituzioni il cui depotenziamento e la cui disorganizzazione sono frutto, anch’essi, di precisi interessi di classe -, con l’obiettivo di una riappropriazione da parte dei proletari della tutela della propria sicurezza. Articolare una critica allo strumento del green pass da comunisti significa ribadire questi aspetti e non strizzare l’occhio a posizioni fuorvianti e prive di fondamento scientifico circa l’utilità dei vaccini, in quanto la sola alternativa al green pass è una campagna vaccinale di massa obbligatoria, la messa in sicurezza reale dei luoghi di lavoro, di studio e dei trasporti pubblici, in ogni caso potenziati, tramite misure di distanziamento e l’utilizzo dei dispositivi medici di protezione. Dietro alla parola d’ordine del “no green pass” si sta, invece, mascherando un movimento reazionario di contrapposizione alla vaccinazione, basato su teorie complottiste e su un falso anticapitalismo, che non a caso subisce l’egemonia dei settori più reazionari e dell’estrema destra, e che non può trovare il sostegno dei comunisti.
Una campagna vaccinale di massa scardina la logica dell’induzione alla vaccinazione, che sta alla base dell’adozione delle limitazioni connesse al green pass e fa gravare sul singolo la responsabilità. La somministrazione del vaccino è un diritto che lo Stato italiano deve garantire a quanti vivono nel paese. In questo modo quelle ampie fasce di proletari esclusi dalla possibilità di fare domanda per accedere al vaccino, come ad esempio i lavoratori stranieri, non verrebbero esclusi dalla campagna vaccinale. Ribadendo la necessità di una campagna vaccinale di massa obbligatoria non prendiamo a modello quella che governo, regioni e SSN hanno finora condotto nel nostro paese, caratterizzata, ad esempio, da inadeguatezze circa l’approvvigionamento e la somministrazione dei vaccini, dalla incapacità delle istituzioni sanitarie di compiere efficaci screening o anamnesi puntuali pre-vaccino o da una assistenza post vaccinale del tutto insufficiente, legata in maniera preponderante all’attesa di qualche minuto negli hub vaccinali dopo l’iniezione. Quindi, non si può che insistere sulla necessità di una gestione più efficiente e razionale possibile della campagna stessa nel contesto di un sistema sanitario non incentrato sul profitto e organizzato sulla base dei bisogni di proletari e masse popolari.
La mancanza di fiducia nei confronti del vaccino che permea parte della popolazione italiana è direttamente derivante dalla contraddittorietà delle politiche di contenimento adottate nel corso della pandemia per rispondere a precisi interessi economici. Ne sono esempio l’impiego delle restrizioni unicamente alla sfera del tempo libero, mentre sui trasporti, nelle aziende, nei magazzini e nei luoghi di studio si era esposti al contagio, o le decisioni su aperture e chiusure secondo le richieste di questo o quel settore del padronato. Tali misure, infatti, presentate peraltro come frutto di indicazioni scientifiche mentre discendevano da scelte politiche, hanno favorito un atteggiamento di sfiducia non necessariamente afferente alla galassia del complottismo o delle teorie no-vax. Allo stesso modo la contraddittorietà delle indicazioni circa la somministrazione dei vaccini, l’assenza di una campagna informativa seria e capillare da parte delle istituzioni e la propaganda martellante sull’idea che il vaccino potesse essere da solo il mezzo con cui superare la crisi pandemica, hanno favorito la diffusione di dubbi, solo in parte giustificati dalla schizofrenia delle informazioni diramate. Anche i media hanno favorito la diffusione e la radicalizzazione delle posizioni no-vax. La sovraesposizione che l’apparato mediatico ha garantito agli ambienti e alle manifestazioni no-vax, spesso in modo del tutto ingiustificato rispetto alla reale portata delle stesse, ha dato voce alle istanze dei settori più retrivi della piccola borghesia che, pur fondando le proprie concezioni su basi antiscientifiche, non hanno mancato di ottenere avallo, quando non sostegno, da diverse forze politiche in cerca di consenso, per non parlare dell’atteggiamento tollerante nei loro confronti, adottato in molte occasioni dalle forze di polizia.
In questo contesto appare evidente che il contrasto al governo Draghi non si gioca sul terreno delle contrapposizioni alimentate dai media – pro-vax/no-vax, sostenitori/complottisti – ma si persegue attraverso il rilancio della conflittualità di classe e del protagonismo di lavoratori, precari, studenti e disoccupati. L’obiettivo dei comunisti in questa fase deve essere quello di supportare la costituzione del più ampio fronte di classe che, attraverso la lotta, si opponga alla politica dei padroni, sistematizzata nel PNRR e attuata dal governo Draghi.