In una regione che è tra quelle che ha sofferto maggiormente le politiche di mercificazione dei servizi sanitari, in cui un Presidente appena eletto tenta – attraverso un piano sanitario che non andrà a recuperare affatto i tutti posti letto persi e che non fa che certificare la dequalificazione di molti ospedali storici – di far dimenticare la propria complicità nei confronti dell’applicazione dell’illegittimo piano di rientro sanitario, gli unici risultati concreti vengono raggiunti con la lotta ed il conflitto.
L’Unione Sindacale di Base – Calabria aveva già nei mesi scorsi contribuito, con le proprie mobilitazioni, a fare estendere le norme della Legge Madia (che nel Dl 80/2021 sono state prorogate al 31 dicembre del 2022), secondo le quali è possibile stabilizzare il personale titolare di un “contratto a tempo determinato”, reclutato attraverso procedure concorsuali pubbliche anche di altre amministrazioni, che abbia maturato almeno tre anni – anche non continuativi – “di servizio”. La palla è passata, di volta in volta, alle Aziende Sanitarie Provinciali, che hanno ripetutamente rimandato l’effettiva contrattualizzazione a tempo determinato degli operatori sanitari attraverso vari pretesti, come l’impossibilità di sforare i vincoli di spesa per il personale (vincoli che sembrano non intaccare, però, spese illegittime in altri settori, come nel caso delle doppie fatture pagate verso la clinica privata S. Anna Hospital).
Le ragioni politiche, soprattutto in Calabria, che vanta ancora 1800 lavoratori sanitari precari con contratto in scadenza il 31 marzo, sono sicuramente da anteporre alle questioni tecniche e contabili, frutto a loro volta di scelte politiche esecrabili, come la passiva accettazione del già citato piano di rientro, benché la sanità regionale riceva ogni anno fondi insufficienti per garantire i LEA o come lo sperpero di denaro pubblico verso esternalizzazioni di servizi che, prevedibilmente, non garantiscono la qualità e la trasparenza necessarie.
Ma sono le ragioni politiche di classe, della classe di chi vive del proprio lavoro e non ha la possibilità di scaricare i costi della malasanità sui propri sottoposti, o non ha interessi diretti o indiretti a gonfiare il portafoglio della medicina privata, che si dimostrano essere le uniche valide per lottare per il diritto universale alla salute, in una regione dove negli ultimi dieci anni sono state perse quasi 5000 unità lavorative nel settore.
È così che dopo innumerevoli manifestazioni, scioperi e sit-in a cui hanno preso parte gli “eroi” del Covid che negli ultimi mesi hanno sacrificato le loro giornate nelle strutture della regione, con le ultime delibere dell’ASP di Cosenza e dell’AOU “Mater Domini” di Catanzaro come USB si è riusciti a portare a casa un altro pezzo della battaglia per la stabilizzazione dei precari che ha già visto, negli ultimi anni, la contrattualizzazione a tempo indeterminato di più di 600 lavoratori calabresi.
Nello specifico, l’ASP di Cosenza ha avviato le procedure per la stabilizzazione di altri 70 precari, mentre l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Germaneto sta avviando la conversione dei contratti CO.CO.CO. in contratti a tempo determinato garantendo in questo modo il diritto alla malattia, alle ferie e all’infortunio lavorativo.
La battaglia sindacale è ancora agli inizi e può dare i suoi frutti esprimendosi con forza anche come battaglia politica, essendo impossibile ignorare il fatto che senza abbandono del regionalismo fiscale sanitario, senza abolizione della sanità privata e dei conflitti di interesse ed essa strutturali, senza pianificazione centralizzata delle risorse per il diritto alla salute ogni risultato rischia di essere parziale ed effimero.