Sono trascorsi più di quattro mesi da quando l’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina ha esacerbato sul terreno militare un conflitto che è frutto della feroce competizione inter-capitalistica per il controllo dei mercati, delle materie prime, delle reti di trasporto internazionali e – sempre più – per il predominio nei mercati finanziari e nel sistema monetario internazionale. L’espansionismo della NATO verso Est in questi anni ha accresciuto significativamente le tensioni tra potenze imperialiste, provocando un’escalation militare nel territorio ucraino e non solo.
Lo scontro inter-imperialistico in atto sta assumendo proporzioni considerevolmente maggiori, coinvolgendo sempre più paesi e rischiando ogni giorno di più di sfuggire di mano ai manovratori con conseguenze distruttive incalcolabili. La rimozione del veto della Turchia sull’entrata di Finlandia e Svezia nella NATO, il progressivo coinvolgimento della Bielorussia e dei Paesi Baltici nel conflitto, l’aumento quantitativo e qualitativo delle sanzioni e dei blocchi economici imposti da entrambe le parti, sono tutti segnali dell’incremento significativo del livello dello scontro in atto. In ultima analisi la contesa che si è aperta tra il blocco USA-UE-NATO e l’asse Russia-Cina ha come posta in gioco la difesa del vecchio ordine capitalistico a egemonia occidentale a guida statunitense di fronte all’emergere di un nuovo ordine mondiale, altrettanto capitalistico, in cui le altre potenze abbiano un ruolo proporzionale al loro peso economico, politico e militare.
In Ucraina USA e UE, con l’invio di nuovi pacchetti di armi e mercenari deciso nelle scorse settimane, stanno conducendo una guerra “per procura” – dopo aver sostenuto per anni frange naziste ed ultranazionaliste – invocando la necessità di difendere la democrazia e di bloccare l’avanzata russa che, dopo l’Ucraina, vorrebbe mettere le mani sull’intera Europa. In realtà quello che le potenze imperialiste occidentali difendono in Ucraina, a differenza della retorica a cui stiamo assistendo da mesi, sono gli interessi dei propri monopoli e dei rispettivi piani espansionistici ed aree di influenza.
La NATO che esce dal summit di Madrid dimostra una volta di più quanto la furiosa reazione degli USA e dei suoi alleati alla crisi dell’egemonia mondiale occidentale costituisca un pericolo per l’umanità intera. Quanto oggi sta accadendo nell’area dell’est europeo è pronto a replicarsi nell’intero continente asiatico: lo scontro nella sua complessità è diretto sicuramente verso la Russia, ma anche e soprattutto verso la Cina, che è il fulcro del nuovo tentativo dei BRICS di conquistare un’autonomia complessiva, in particolare sul piano industriale, finanziario e monetario, da USA, UE e FMI. Anche e soprattutto con questa lente dobbiamo leggere l’intensificarsi delle relazioni della NATO con Giappone e Sud Corea.
L’Italia risulta completamente integrata in questi piani e nella gerarchia imperialista di cui, anche in concorrenza con i Paesi alleati, cerca di scalare posizioni. All’interno della NATO e dell’UE sta conducendo una politica del tutto conseguente ai suoi interessi e a quelli dei propri monopoli, in particolare quelli del settore energetico. Le frizioni all’interno del Governo – frutto delle contese intestine alla borghesia italiana per tutelare le alleanze più utili alla conservazione dei propri interessi – al netto dei toni esacerbati dalla diatriba giornalistica, si stanno in ogni caso risolvendo nella riaffermazione della collocazione euroatlantica del Paese. Il recente voto a stragrande maggioranza per l’invio di altro arsenale bellico in Ucraina riconferma plasticamente la tendenza al mantenimento di questa posizione.
La guerra ci piove in testa e ci viene imposta da questo sistema. È un fatto e non ci possiamo sottrarre. Noi, con i mezzi, i metodi e le pratiche che i rapporti di forza via via ci consentiranno, la combatteremo da un punto di vista di classe. Dare guerra alla guerra per noi si traduce nel contrastare nel “nostro” paese gli interessi e le politiche del blocco imperialista USA-UE-NATO. Ci misuriamo infatti con le ricadute che esso produce sulle nostre vite, con il suo livello repressivo e con la sua corsa al riarmo. E dobbiamo misurarci, nello stesso tempo, con il fatto che la guerra in Ucraina, come tutte le guerre tra inter-capitalistiche e inter-imperialiste, è un attacco all’unità del proletariato, serve a scagliare proletari contro proletari, avvelenandone la vita, i sentimenti, la coscienza, a farne carne da macello per gli interessi dei propri sfruttatori. Perciò, se lo scontro tra capitali si determina su un piano orizzontale, noi dobbiamo mettere le nostre forze al servizio dello scontro sul piano verticale, lo scontro tra capitale e lavoro, tra classe capitalistica e proletariato, un conflitto che è nascosto dalla propaganda di entrambi gli schieramenti belligeranti ma che, nella realtà della guerra si manifesta in modo ancora più evidente attraverso la socializzazione dei costi, anzitutto umani, e la privatizzazione dei profitti.
All’interno della putrefazione e decomposizione più generale del modo di produzione capitalistico, giunto alla fase imperialista, infatti, chi sta pagando più di tutti le conseguenze dello scoppio delle contraddizioni, della guerra e della devastazione sono i proletari e le proletarie, siano essi ucraini, russi o di qualsiasi altro paese.
Lo vediamo anche in Italia con l’incremento senza limiti del carovita. Benzina, gas, utenze, pane, latte, beni alimentari di prima necessità e trasporti hanno raggiunto prezzi proibitivi per la maggior parte dei lavoratori e degli strati popolari: prezzi che sono destinati ad aumentare in maniera vertiginosa nei prossimi mesi. La stagnazione dei salari e la diminuzione del potere d’acquisto reale sono fattori che vanno a peggiorare ulteriormente le conseguenze in termini sociali della crisi in atto.
L’incremento repentino dei contagi da SARS-CoV-2 in questi giorni imporrebbe un bilancio sulla pandemia, sulle misure adottate dal Governo, sulle risposte di classe alla sua gestione criminale.
Quello che sappiamo è che a partire dalla stessa campagna vaccinale e dalle misure di contenimento del virus, l’interesse del profitto è stato sempre anteposto alla salute dei lavoratori e delle lavoratrici: dall’essere definiti “essenziali” a tornare ad essere possibili “esuberi” il passo è stato spesso molto breve. Nonostante gli aumenti a ondate del numero delle infezioni e dei morti il processo di privatizzazione della sanità pubblica e della demolizione della medicina generale e di base non è mai stato in discussione: purtroppo non siamo stati capaci di farlo noi e non hanno sicuramente interesse a farlo i padroni e i loro governi, Conte-bis e Draghi. Quello che noi sappiamo è che il modo di produzione capitalistico è strutturalmente responsabile della devastazione ambientale che ha causato e causerà nuove pandemie come anche profughi ambientali, siccità e desertificazione.
Sui luoghi di lavoro le misure di contenimento e prevenzione del virus non sono andate a sommarsi a quelle contenute nel testo unico per la sicurezza ma sono state usate in sostituzione ad esso rendendo ancora meno sicure le vite di milioni di lavoratori e lavoratrici.
Nel mentre la riapertura delle procedure di sfratto rischia di mettere per strada decine di migliaia di famiglie, a causa anche del costo esorbitante raggiunto dagli affitti e dal costo delle utenze. A questo si aggiunge la incombente siccità che sta colpendo le zone del Nord e del Centro e che sta portando all’ordine del giorno la politica, già sperimentata in alcuni Comuni in questi giorni, del razionamento idrico per le famiglie. Ancora la crisi idrica ci viene presentata come “emergenza”, come fosse contingente e inaspettata. La crisi idrica invece si determina come manifestazione della crisi climatica prodotta da un modo di produzione ormai non solo più in contraddizione ma in antagonismo con la riproduzione della vita umana su questo pianeta.
La guerra intesa come azione maggiormente inquinante da parte dell’uomo spazza via ogni velleità e retorica sul fatto che questo sistema sia in grado di garantire una reale transizione ecologica. Come abbiamo potuto già osservare in pandemia, anche in questo caso le responsabilità vengono scaricate verso il basso e sui comportamenti individuali. Fattori economici, sanitari, ambientali e sociali si intrecciano inesorabilmente nel contesto di una crisi globale di portata epocale.
Le organizzazioni di classe e comuniste che si trovano a nuotare in queste acque vorticose, devono porre con forza la necessità di promuovere una posizione che esca dalla polarizzazione – presente anche all’interno della sinistra – tra un campo imperialista e l’altro. Sarà nostro compito ricacciare ogni cedimento sovranista cercando sempre di puntare nella direzione dell’autonomia dal quadro che questo sistema ci presenta come ineluttabile, perseguendo l’indipendenza di classe nel dibattito e nelle pratiche.
Questi sono elementi di analisi che nelle prossime settimane e in vista dell’autunno vogliamo approfondire e mettere a disposizione del movimento di classe tutto attraverso l’organizzazione di una conferenza nazionale che approfondisca la tematica dello scontro interimperialistico e della repentina escalation militare. Una conferenza nazionale che sia utile a marcare il campo dell’opposizione ad entrambi gli schieramenti capitalistici in lotta e riaffermi la posizione indipendente del proletariato di qualunque nazione esso sia. Pensiamo sia indispensabile mettere sempre più attrezzi nella nostra cassetta per meglio leggere la fase che ci aspetta e sapervi agire in modo più consapevole e puntuale.
È innegabile che, indipendentemente dall’acuirsi della crisi, le forze di classe in questo paese siano state ad oggi incapaci di dare una risposta all’escalation in atto. Seppur fondamentale su un piano politico, anche lo sciopero generale del 20 Maggio ha sofferto di enormi limiti, rendendo quella data di mobilitazione inadeguata ad incidere realmente sia nei luoghi della produzione, sia su un piano di aggregazione di massa contro la guerra imperialista. La dimensione di adesione formale di pressoché tutta la galassia della sinistra di classe a questa data ha inoltre dimostrato come, più che ricercare sommatorie di sigle incapaci di muovere realmente qualcosa all’interno della classe, sia necessario stimolare e rafforzare il piano di coordinamento concreto tra lavoratori e di costruzione dello sciopero. È per questo che, viste le sfide dei prossimi mesi, urge un cambio di passo rispetto al passato.
Le mobilitazioni dell’autunno saranno un primo banco di prova di costruzione di una azione di massa contro guerra e carovita. Per evitare di riprodurre una dinamica di adesione formale ma non sostanziale alle date di lotta, è necessario tracciare una prospettiva complessiva che vada al di là della singola scadenza.
È innegabile l’attuale insufficienza delle forze sindacali combattive e di classe: per questo è fondamentale lo sforzo per allargare il nostro raggio d’azione in direzione della più ampia massa dei lavoratori/lavoratrici e dei movimenti sociali. E contemporaneamente mettere a fuoco le questioni politiche fondamentali per una coerente opposizione di classe alle politiche dei capitalisti e dei governi.
Diventa indispensabile una critica all’approccio che negli ultimi anni ha visto lo sciopero generale a mano a mano svuotato del suo significato e trasformato da strumento di lotta dei lavoratori a elemento rituale utile solo, in certi casi, all’autoaffermazione di alcune burocrazie sindacali. Abbiamo bisogno di sparigliare le carte, rompere schemi ed equilibri, che ormai sono diventati un limite invalicabile per gli stessi lavoratori già divisi dall’azione padronale: non possiamo permettere che ciò avvenga ancor di più per azione sindacale.
Per noi lo sciopero generale non è tanto una data, quanto un processo di progressiva mobilitazione. Esso va preparato valorizzando la spontaneità dei lavoratori e coinvolgendo realmente il numero più ampio possibile delle forze di classe, affinché sia in grado di porre un problema reale all’asse padronato/governo Draghi sotto il profilo dei profitti e della gestione del consenso. Un processo che non necessariamente debba tradursi in un unico momento di lotta, ma che sappia vivere in una più complessiva mobilitazione sociale. Crediamo che si possa arrivare a uno sciopero generale e generalizzato attraverso un percorso di innalzamento del dibattito e delle pratiche di convergenza dei lavoratori, che unisca le vertenze e le lotte sociali, che superi gli steccati sindacali per produrre vera solidarietà tra i lavoratori.
Lo sciopero diventerà un momento reale e significativo quando si saranno generate le condizioni perché sia lo sbocco naturale del clima prodotto dalle mobilitazioni che sapremo mettere in campo. Per questo il nostro compito, non è fissare a tavolino le scadenze dall’alto, ma è lavorare alla creazione delle migliori condizioni affinché questo processo possa generarsi, con la moltiplicazione di momenti di lotta e confronto diretto tra lavoratori e lavoratrici in lotta, ovunque collocati: dalla scuola alla sanità, dalla logistica ai trasporti, dalle fabbriche ai porti, dai territori alle città. Sostenere questo non significa attendere messianicamente le condizioni adeguate o rifiutare giornate di sciopero intermedie, ma agire materialmente per produrre la massima convergenza tra i lavoratori e le lotte e il massimo impatto della mobilitazione contro il governo Draghi.
Pensiamo che sia necessario da subito porre tutte le forze di classe, politiche e sindacali nella direzione della costruzione di un clima di mobilitazione generale basato su momenti di lotta e convergenza dei lavoratori, attraverso la presenza capillare nei luoghi di lavoro e la diffusione della parola d’ordine dello sciopero generale. Riteniamo utili a tal fine i vari momenti di confronto e di lotta già esistenti dei quali lavoreremo al rafforzamento e alla riuscita: parteciperemo e sosterremo i “tenetevi liberi”, e l’immaginario dell’Insorgiamo, i diversi momenti di confronto politico sul “che fare” che si produrranno, ogni manifestazione di conflitto sul terreno sindacale-sociale che si verificherà nei prossimi mesi, tutte le espressioni di conflitto di classe che si genereranno all’avanzare dell’acuirsi della crisi di sistema.
Casa del Popolo di Teramo
Centro Politico Comunista Santacroce
Collettivo Marxpedia
Collettivo Militant
CPA Firenze Sud
Csa Vittoria
Fronte Comunista
Fronte della Gioventù Comunista
Laboratorio Politico Iskra
Movimento Disoccupati 7 Novembre
OSA Perugia
Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria