In questi giorni il caso Cospito, in sciopero della fame da oltre 100 giorni, e l’applicazione dell’art. 41bis alla sua detenzione sono diventati un tema centrale della “informazione” stampata e televisiva, monopolizzando il dibattito anche all’interno delle aree di classe. Ciò assume rilevanza non solo per la palese sproporzione della pena comminata e per l’accanimento del governo che gioca una partita tutta politica sulla pelle di Alfredo Cospito, ma anche perché mostra tutta l’arbitrarietà e la natura di classe della giustizia borghese. L’imponente risposta mediatica messa in campo dal governo, inoltre, risponde alla necessità del sistema capitalistico di dotarsi di sempre più efficienti strumenti di controllo sociale in una fase di pesanti attacchi alle condizioni di vita delle masse popolari.
Come i governi precedenti, dal Conte I fino a Draghi, il governo Meloni e la maggioranza parlamentare che lo sostiene proseguono sulla via dell’inasprimento della repressione, poliziesca e giudiziaria, di chiunque si opponga allo sfruttamento e all’ingiustizia sociale propri del capitalismo.
Dalle limitazioni al diritto di sciopero, alla costante creazione di nuove fattispecie di reati penali che spesso colpiscono non comportamenti, atti o fatti, ma l’espressione di opinioni e mirano a colpire l’esercizio delle libertà democratiche, politiche e sindacali, alla montatura di assurdi teoremi giudiziari contro gli elementi più combattivi del movimento dei lavoratori in lotta, imputati di inesistenti reati che prevedono pesanti pene detentive e amministrative, fino all’applicazione alle pratiche politiche e sindacali di norme, concepite per sanzionare crimini in ambiti ben diversi, tutto indica la chiara volontà dei governi borghesi di affrontare il crescente disagio sociale come un problema di ordine pubblico e di sicurezza, in un quadro di palese involuzione reazionaria e autoritaria dello Stato borghese.
Non possiamo non rilevare e denunciare con forza il doppio standard della “giustizia” borghese e il suo uso di classe a tutela degli interessi del capitale. Mentre si usa il pugno di ferro contro sindacalisti e lavoratori in lotta, i responsabili delle morti sul lavoro e degli altri crimini perpetrati in nome del profitto, come nei casi Eternit, Thyssen-Krupp, Ponte Morandi, ecc., godono di tutte le attenuanti del caso e spesso restano impuniti, così come impuniti sono i mandanti e gli esecutori delle stragi fasciste, da quella della Banca dell’Agricoltura a Milano, a quelle di Piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus e della Stazione di Bologna. Allo stesso modo, in controtendenza rispetto alla durezza con cui vengono perseguite e represse le lotte dei lavoratori, lo Stato borghese riduce le pene per i cosiddetti reati dei “colletti bianchi”, come corruzione, concussione, abuso d’ufficio, falso in bilancio, evasione fiscale, ecc. e rende più complesse le procedure per perseguirli, fino alla riforma Cartabia (governo Draghi), che rende non perseguibili d’ufficio, neppure in caso di flagranza, tutta una serie di reati, derubricandoli a reati querelabili, cioè perseguibili solo in caso di istanza della vittima, spesso impossibilitata a farlo, perché non può permetterselo o perché subisce intimidazioni. Giustizialismo sommario con i deboli, garantismo estremo con i forti.
Denunciamo anche la tattica di terrorismo mediatico che viene usata, in particolare dal governo Meloni, per giustificare l’introduzione di nuove misure repressive o l’estensione ad altri ambiti di quelle già esistenti. Servendosi della complicità di un’informazione, sempre meno tale e sempre più ridotta ad apparato propagandistico, concentrato nelle mani di grandi monopoli editoriali, vengono lanciate campagne mediatiche su inesistenti pericoli per la sicurezza collettiva, atte a creare panico nell’opinione pubblica e a produrre consenso per l’applicazione di nuove norme restrittive delle libertà democratiche e degli spazi per la lotta di classe, utilizzando tali spauracchi con l’obiettivo di rafforzare il consenso del governo e deviare l’attenzione dai problemi reali delle masse popolari. Questa tattica terroristica è stata prima applicata ai rave party, poi agli ecologisti che hanno imbrattato con vernici colorate l’ingresso di Montecitorio, infine agli anarchici, che tutto rappresentano fuorché una credibile minaccia per la sicurezza dello Stato. Ancora prima, la stessa tattica è stata applicata agli immigrati e a diverse questioni di politica internazionale, non ultima la guerra imperialista in atto in Ucraina. Per chiunque usi il semplice buon senso, è evidente che si tratta di pretesti per giustificare l’involuzione reazionaria dello Stato borghese, con la finalità di reprimere quanto più possibile ogni manifestazione di lotta di classe.
Il caso di Cospito si inserisce in questo quadro complessivo. Pur non condividendo, da marxisti-leninisti, le posizioni e le prassi politiche dell’anarchismo, non possiamo esimerci dal condannare con la massima fermezza il persecutorio accanimento giudiziario, di natura più politica che giuridica, di cui Cospito è vittima, chiedendo con forza la disapplicazione del regime di 41 bis al suo caso. Per la sproporzione della pena e la durezza del regime di detenzione a cui è sottoposto rispetto ai capi d’imputazione, è evidente che Cospito, come altri prima di lui, è vittima di una vera e propria vendetta dello Stato borghese e, quindi, di un’inaccettabile ingiustizia che, ancora una volta, ci insegna che nell’ambito del capitalismo non può esistere una “giustizia giusta”.
La lezione di fondo che dobbiamo trarre da questa vicenda sta nella consapevolezza che il crescente peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e dei ceti popolari porterà a una loro radicalizzazione, con crescenti espressioni di malcontento e protesta, alle quali lo Stato borghese, quale che sia il governo in carica, risponderà con nuove strette in termini di repressione. Il carattere del sistema carcerario e gli istituti ad esso connessi, l’applicazione delle leggi e l’esercizio della giustizia sono inscindibilmente connessi con la natura di classe del capitalismo e con le disuguaglianze da esso generate. Smascherare questa connessione deve essere il nostro compito per far avanzare la consapevolezza della natura avversa e non neutra dello stato borghese nei confronti delle masse popolari. Solo modificando i rapporti di forza e abbattendo il potere della borghesia è possibile istituire una giustizia che tuteli gli sfruttati e sia inflessibile contro gli sfruttatori.
Roma 07/02/2023 – Il Comitato Centrale del Fronte Comunista