Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Grande Vittoria sul nazifascismo, una ricorrenza particolarmente significativa per i comunisti e i popoli. L’8 maggio alle 23:00 locali, cioè alle 01:00 del 9 maggio secondo il fuso orario di Mosca, i rappresentanti dello Stato Maggiore della Germania nazista firmarono l’atto di capitolazione delle forze armate germaniche. La Seconda Guerra Mondiale in Europa si concludeva con la resa senza condizioni della Germania e la caduta dei regimi nazifascisti.
La liberazione dei popoli europei dalla barbarie nazifascista fu conquistata grazie allo sforzo eroico dell’URSS sotto la direzione del Partito Comunista Bolscevico, guidato da Stalin, del popolo sovietico in tutte le sue componenti nazionali e dell’Armata Rossa, che fornirono il contributo determinante alla Vittoria con il sacrificio di oltre 27 milioni di vittime. In sostanza, fu la Vittoria del socialismo sull’espressione più barbara, sciovinista e reazionaria del capitalismo, un successo reso possibile dall’enorme sviluppo economico e sociale, conseguito nella costruzione del socialismo in Unione Sovietica dopo la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, che aveva liquidato nell’arco di pochi anni un’arretratezza secolare grazie alla pianificazione centralizzata dell’economia, posizionando l’URSS tra le grandi potenze mondiali.
È questa verità storica che oggi la borghesia cerca in ogni modo di nascondere e offuscare, tanto in Russia, quanto nell’Unione Europea, per non parlare degli Stati Uniti.
In Europa Occidentale si celebrava l’8 maggio, sia pure in sordina, come anniversario della fine della guerra o della sconfitta della Germania nazista. La differenza di riferimento dimostra quanto fosse indigeribile per il capitalismo dover ammettere la vittoria del socialismo sovietico nella Seconda Guerra Mondiale, preferendo trattare la ricorrenza in termini di anniversario della fine del conflitto, nel tentativo di far dimenticare che le potenze imperialiste europee, in particolare Francia e Gran Bretagna, avevano gravi responsabilità, prima fra tutte quella di aver cercato di utilizzare il nazifascismo per colpire l’Unione Sovietica, consentendo a Hitler di riarmare la Germania e aggredire gli stati confinanti in preparazione dell’operazione Barbarossa, come confermato dal benevolo atteggiamento tenuto nei confronti del nazismo alla Conferenza di Monaco del 1938 e dagli accordi ivi firmati, che permisero alla Germania di annettere buona parte della Cecoslovacchia. Un’attitudine antisovietica e anticomunista che spiega il ritardo nell’apertura del secondo fronte in Normandia, finalizzata più a limitare i possibili confini di un’ormai irresistibile avanzata dell’Armata Rossa che non a eliminare la barbarie nazifascista. Ne è testimonianza il fatto che, in piena guerra, i monopoli americani e quelli di paesi “neutrali”, come la Svezia, hanno continuato a fare affari con i monopoli della Germania nazista fino alla caduta del Reich.L’UE è andata molto oltre sulla via della falsificazione della storia, spostando la “Giornata dell’Europa” in ricordo della dichiarazione Schuman, dal 5, data originale, al 9 maggio e ridenominandola “Festa dell’Europa”. Non si capisce cosa ci sia da festeggiare, se non per i capitalisti, nella dichiarazione dei principi fondativi di questa unione imperialista, ma è chiaro l’intento di stravolgere la natura della ricorrenza per farne cadere le vere origini nell’oblio, soprattutto tra le giovani generazioni, scollegando gli eventi dalle date. Poiché non si può negare che la bandiera della Vittoria e della liberazione issata sul Reichstag fosse la bandiera rossa con la falce, il martello e la stella, meglio cercare di far dimenticare del tutto il fatto storico. In relazione alla Seconda Guerra Mondiale nel suo complesso, l’UE cerca di falsificare la storia sminuendo il ruolo dell’URSS e quello dei comunisti nei movimenti di resistenza attraverso un’antistorica esagerazione del contributo americano, favorita da un massiccio investimento nell’industria mediatica nel tentativo di manipolare l’immaginario delle nuove generazioni che non sono state protagoniste e testimoni di quegli eventi.
Troviamo ripugnante e preoccupante che la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, abbia simbolicamente scelto questa giornata per la sua visita a Kiev in sostegno a un regime reazionario che si rifà apertamente all’ideologia ultranazionalista di quanti collaborarono con il nazifascismo, che ha da diversi anni vietato le celebrazioni della Grande Vittoria, che perseguita veterani, comunisti e sindacalisti, che ha dichiarato fuori legge tutti i partiti non governativi, che ha le mani grondanti sangue del proprio popolo. Evidentemente sono questi “i valori europei” di cui va cianciando Ursula von der Leyen, perfettamente in linea con la vergognosa risoluzione dell’Europarlamento del settembre 2019, nella quale si equiparano nazifascismo e comunismo, oppressori e liberatori, falsificando la storia. L’UE conferma anche in questa occasione di essere un’entità imperialista e reazionaria che ha fatto dell’anticomunismo e della menzogna la propria bandiera ideologica.
Sia pure con toni diversi, anche l’attuale dirigenza della Russia, espressione della borghesia monopolistica controrivoluzionaria al potere, utilizza il revisionismo storico e, strumentalizzando i sentimenti del popolo russo, cerca di servirsi della gloriosa ricorrenza del 9 maggio per giustificare le proprie politiche contingenti nel quadro dello scontro interimperialistico in atto, con una rilettura della storia in chiave nazionalista grande-russa.
Innanzitutto, viene rimosso il fatto fondamentale che l’aggressione all’Unione Sovietica sia stata una manifestazione dello scontro tra due sistemi economici, sociali e politici contrapposti e inconciliabili, tra il socialismo e il capitalismo nella sua forma più barbara, quella fascista, in attuazione del Patto Anti-Comintern, firmato nel 1936 originariamente da Germania e Giappone e successivamente ampliato ad altri 10 stati europei, tra cui l’Italia e a due regimi fantoccio in Asia. Non si trattava quindi di una guerra tra “nazioni”, come la descrive oggi la storiografia borghese russa, né di uno “scontro tra la civiltà europea e la barbarie asiatica”, come vollero definirla i fascisti con un’inquietante affinità alle odierne farneticazioni propagandistiche dei guerrafondai euro-atlantici, ma di una guerra esplicitamente scatenata per abbattere il primo stato operaio al mondo e per neutralizzare l’attività dell’Internazionale Comunista. Questo connotato di classe della Grande Guerra Patriottica viene oggi sistematicamente occultato sia dall’apparato propagandistico russo che da quello dell’UE. La Vittoria viene oggi presentata in Russia in modo distorto e con una narrazione nazionalista, come successo militare di una potenza, grande in quanto erede dell’Impero Russo, tacendo accuratamente sulla natura di classe della guerra e con l’evidente intento di cancellare qualsiasi legame della Grande Vittoria con il socialismo, con il ruolo dirigente del Partito Comunista Bolscevico e di Stalin, citati solo in modo denigratorio e falsificante. La verità che la propaganda del regime borghese russo, al pari della propaganda borghese occidentale, cerca di negare è il fatto innegabile che fu il socialismo a sconfiggere il nazifascismo, dimostrando così la propria superiorità economica, sociale, politica e morale, oltre che militare, sul mostro generato dal capitalismo. Ne sono dimostrazione plastica addirittura gli addobbi della Parata della Vittoria, che nascondono il Mausoleo di Lenin sotto pannelli con i tre colori della bandiera nazionale russa, già vessillo della dinastia Romanov e dei collaborazionisti filonazisti di Vlasov, a sottolineare il richiamo all’Impero e il distacco dal socialismo.
La stessa istituzione da parte del governo della Russia capitalista del cosiddetto “Reggimento immortale” è un’operazione dal carattere propagandistico e ideologico orientata alla manipolazione della memoria storica sul decisivo contributo del popolo sovietico nella seconda guerra mondiale. La necessità della Russia capitalista, emersa dalla controrivoluzione negli anni 90, è stata quella di spogliare le celebrazioni della Vittoria dei popoli sul nazifascismo dal loro contenuto intrinsecamente politico e rivoluzionario, di spostare quindi il cuore delle celebrazioni e della memoria dall’Armata Rossa ad un non ben definito “reggimento immortale”, più confacente ad una celebrazione familiaristica, individuale e depoliticizzata. Servendo quindi il doppio interesse di celebrare internamente il 9 maggio in una chiave sempre più spiccatamente nazionalistica e di compattare esternamente, negli altri paesi, il consenso sull’operato del governo russo attraverso delle celebrazioni completamente svuotate politicamente e storicamente dal loro carattere classista e rivoluzionario. Nella stessa direzione va il divieto, imposto ai partecipanti delle marce del “Reggimento Immortale”, ma largamente disatteso, di esporre la bandiera e i simboli dell’Unione Sovietica.
Del tutto inaccettabile è la strumentalizzazione del 9 maggio a giustificazione dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina. Il tentativo di stabilire un parallelo tra questa e la Grande Guerra Patriottica è una manipolazione priva di ogni fondamento storico, tesa a sfruttare i sentimenti antifascisti del popolo russo per finalità che nulla hanno a che fare con l’antifascismo. Innanzitutto, non sono credibili gli intenti “denazificatori” di un regime che ha per vessillo la bandiera tricolore dei traditori che combatterono al fianco dei nazisti contro l’Unione Sovietica, che consente che sul suo territorio vengano dedicati musei ed eretti monumenti a collaborazionisti come Vlasov e l’atamano Krasnov, che tollera l’esistenza nel proprio paese di ben 48 organizzazioni di stampo ultranazionalista e reazionario, quando non apertamente fascista. Non è credibile l’antifascismo di chi nei propri discorsi ufficiali riporta ampie citazioni del filosofo Ivan Il’in, maestro ispiratore di altri reazionari come Solženicyn e Dugin, anticomunista e antisemita della peggior specie, che salutava in Hitler il salvatore dell’Europa dal bolscevismo. Inoltre e soprattutto, la Russia di oggi non è l’Unione Sovietica, ma uno stato capitalistico nel quale è al potere una borghesia controrivoluzionaria tra le più rapaci e reazionarie, responsabile della realizzazione degli obiettivi politici dell’aggressione nazista, cioè della liquidazione del socialismo e della dissoluzione dell’URSS. Il fascismo è figlio del capitalismo, è l’espressione più feroce della dittatura borghese e non può essere definitivamente sconfitto se non abbattendo il capitalismo stesso. È assurdo credere che questo sia l’obiettivo che la borghesia russa persegue con l’Operazione Speciale in Ucraina.
Tuttavia, questo tipo di propaganda ha fatto breccia nelle componenti più arretrate, in termini di elaborazione ideologica, del movimento comunista internazionale, all’interno del quale si manifestano pericolose deviazioni sul piano ideologico e politico che ne compromettono l’unità e la capacità di lotta. Alle note problematiche connesse alla questione dello Stato e della partecipazione alle istituzioni borghesi, della transizione rivoluzionaria al socialismo (gradualismo e riformismo), del rapporto con la socialdemocrazia e i partiti borghesi, si aggiunge oggi una spaccatura sulla posizione rispetto alla guerra in Ucraina. A ben vedere, alcune divergenze sulla categoria di imperialismo, ad esempio sulla valutazione della natura della Repubblica Popolare Cinese, erano preesistenti, ma è indubbio che il conflitto le abbia accentuate. Vi sono partiti che si sono allontanati dagli insegnamenti di Lenin sull’imperialismo e sulla tattica dei comunisti di fronte alla guerra imperialista per abbracciare la politica estera della Russia borghese in nome del suo improbabile “antifascismo” che serve in realtà a mascherare gli interessi del capitale monopolistico russo che stanno alla radice del conflitto in atto. Questa forma di “codismo”, cioè di subalternità alle politiche del capitale, ripete quell’errore esiziale di molti partiti della II Internazionale che ne decretò la fine ed è estremamente pericolosa, in quanto elemento di divisione del proletariato, chiamato a schierarsi con l’una o l’altra borghesia, a farsi massacrare in una guerra fratricida per difendere gli interessi dei propri sfruttatori. Il Fronte Comunista continuerà a combattere queste deviazioni, ribadendo il proprio impegno per favorire l’unità del movimento comunista internazionale sulla base di posizioni coerentemente marxiste-leniniste e rivoluzionarie.
Coerentemente con l’insegnamento di Lenin, di fronte alla guerra imperialista è dovere dei comunisti applicare la tattica del “disfattismo rivoluzionario”, consistente nell’operare attivamente per la disfatta politica e militare del nemico principale, quello “interno”, cioè la propria borghesia.
Respingere ogni strumentalizzazione, da qualsiasi parte provenga, del Giorno della Grande Vittoria e intensificare la nostra lotta contro i piani imperialisti del blocco USA-UE-NATO, per la cessazione delle forniture di armi al regime reazionario di Kiev, per la revoca delle sanzioni, per l’uscita dell’Italia da ogni alleanza imperialista, è il migliore tributo che possiamo dare alla memoria di chi ha dato la propria vita per la libertà dei popoli dal fascismo, per una pace duratura e per il socialismo.
PACE TRA I POPOLI! GUERRA TRA LE CLASSI!
Nel giorno della vittoria dell’Unione Sovietica e dei popoli sul nazifascismo abbiamo dunque il dovere di smascherare la falsa narrazione anticomunista e antisovietica su quelle vicende storiche, diffusa dalle autorità borghesi tanto dell’UE che della Russia.