Cari compagni,
il tema di cui ci troviamo a discutere oggi è di particolare importanza dal momento che rappresenta un terreno connesso alla questione dell’unità di classe del proletariato e su cui la propaganda borghese è pervasiva e rappresenta una sfida non banale per i comunisti.
Per analizzare criticamente le politiche UE in materia di gestione dell’immigrazione e, da ultimo, il Patto dell’UE sull’immigrazione e l’Asilo non possiamo esimerci dal ribadire che il fenomeno dell’emigrazione è una diretta conseguenza dell’imperialismo quale fase nella quale i monopoli internazionali e gli stati al vertice della piramide imperialista attuano uno sfruttamento estremamente aggressivo delle risorse naturali, economiche ed anche umane dei paesi di più poveri. Il sempre più crescente sfruttamento e impoverimento dei paesi alla base della piramide imperialista, depredati delle loro risorse naturali e umane dai monopoli transnazionali e, su loro mandato, politicamente e, a volte, anche militarmente soggiogati con la complicità della borghesia locale, è una delle cause economiche dell’emigrazione.
Queste politiche di sfruttamento si traducono spesso in devastazioni economiche e ambientali nei paesi dai quali masse di proletari sono costrette a fuggire alla ricerca di una maggior possibilità di sopravvivenza lontano dal proprio paese d’origine.
Tali dinamiche caratterizzano sia i periodi nei quali la competizione imperialista sfocia in un conflitto militare a tutti gli effetti, quale “continuazione della politica [imperialista] con altri mezzi”, sia i periodi di “pace imperialista” che, rappresentando tutt’al più una tregua nella competizione più aperta e diretta fra i monopoli transnazionali, non rimuove l’elemento dello sfruttamento imperialista e, anzi, prepara nuove guerre e nuove devastazioni nei vari paesi.
Inquadrare in questo senso le cause del fenomeno dell’emigrazione dai paesi più poveri a quelli più ricchi ci permette già da subito di chiarire sia la natura delle misure che l’Unione Europea, quale alleanza imperialista, prende in tema di gestione dei flussi migratori sia la strumentalità delle dichiarazioni di principio riguardo il “bilanciamento tra sicurezza e diritti umani” che vengono riportate sia nel Patto dell’UE sull’immigrazione e l’Asilo che nell’agone politico a livello europeo o, come da nostra esperienza più diretta, italiano.
Lungi dall’essere una misura legislativa volta a rispondere alle necessità umane di quanti sono costretti a emigrare verso i paesi europei, il Patto dell’UE sull’immigrazione e l’Asilo sancisce nei fatti una presunzione di colpevolezza per il richiedente asilo che è definito in partenza come “irregolare” e che fino al momento dell’accoglimento della richiesta viene trattenuto in Centri di Permanenza Temporanea alla frontiera vedendo la propria libertà limitata pur non avendo di fatto commesso alcun reato. A ciò si può aggiungere il fatto che l’”obbligo di solidarietà” riguardo l’accoglienza fra i paesi UE, che dovrebbe, sulla carta, favorire lo spostamento degli individui in ingresso in linea con i loro obiettivi e sostenere le attività di gestione dei paesi di primo sbarco, appare come del tutto inefficace in quanto il paese di ricollocamento può rifiutare il richiedente asilo a fronte del pagamento di una somma al paese di primo sbarco determinando quindi la permanenza dell’emigrante nei Centri di Permanenza Temporanea che sono, in ultima istanza, indistinguibili dai lager.
Questi elementi, così come programmazione del numero degli aventi diritto alla procedura d’asilo fatta da ciascuno Stato in base alle proprie capacità di accoglienza, esigenze, motivazioni e criteri di valutazione che prescindono dalla reale condizione dei richiedenti, sono tutti punti del Patto che rispondono ad una logica, tutt’altro che “umanitaria”, di gestione dei flussi migratori e selezione in linea con le necessità di forza lavoro della classe borghese sia a livello dei singoli paesi che a livello più generale europeo. Tale logica di gestione e selezione è un punto che non possiamo che condannare in quanto volto a sostenere le necessità padronali nei paesi di arrivo che le necessità reali delle masse che si trovano costrette a vivere il fenomeno dell’emigrazione.
Un altro punto su cui vorremmo concentrarci è l’insistenza che si fa nel Patto dell’UE sull’immigrazione e l’Asilo sul tema della sicurezza. Le pietre miliari del rafforzamento della sicurezza contenuto nella norma sono i cosiddetti partenariati con i paesi maggiormente interessati da partenze o da flussi migratori. In questo senso la narrazione sul rafforzamento della sicurezza appare come la semplice veste retorica di un rafforzamento della presenza dei monopoli UE e della loro penetrazione nei paesi di partenza. Si parla infatti di cooperazione volta a contrastare le partenze illegali ma questo si traduce nei fatti in una maggiore presenza militare degli stati UE fuori dai loro confini, presenza del tutto funzionale alla tutela degli interessi dei monopoli in questo o quel paese. Si fa riferimento ai partenariati come strumento volto alla facilitazione delle procedure di rimpatrio che in sostanza implicano il ritorno in contesti nei quali i migranti si troverebbero a rischiare violenze o la morte quando non la miseria e difficoltà di sopravvivenza. O ancora, si parla di collaborazioni in ambito economico con i paesi di partenza o transito volte “al contrasto alle cause profonde della migrazione”. Tali affermazioni sono null’altro che una copertura per rafforzare la capacità dei paesi imperialisti di sfruttare a proprio vantaggio le risorse o la penetrazione economica nei paesi più poveri e anzi rappresentano, come accennato in apertura, una delle cause alla base del fenomeno dell’emigrazione.
Sotto questa stessa luce, in quanto rispondente alle medesime logiche, può essere letto l’accordo Meloni-Rama siglato tra Italia e Albania per l’accoglimento di parte dei richiedenti asilo presenti nei Centri di Permanenza italiani in strutture realizzate nel paese dall’altra parte dell’Adriatico.
Al di là della reale portata di misure di questo genere, che molto spesso hanno una eco mediatica di molto sovradimensionata in funzione della vicinanza a tornare elettorali e comunque della rilevanza nel confronto fra le forze borghesi, come comunisti dobbiamo contrastare la narrazione, sostenuta da questo tipo di iniziative, che rappresenta il fenomeno della migrazione come un pericolo per i lavoratori o i popoli dei paesi di destinazione. Una concezione che in definitiva pone in diretta continuità il governo di destra attuale con gli indirizzi dei governi precedenti a prescindere dalle maggioranze che li sostenevano, come testimonia il decreto Minniti emanato nel nostro paese dal centrosinistra.
In questo quadro riteniamo che sia compito dei comunisti denunciare i Trattati UE in vigore non nella direzione di modifiche più o meno specifiche che non ne muterebbero la natura ma in direzione di una denuncia complessiva che sottolinei la necessità della loro abrogazione in quanto norme volte a sostenere le necessità del capitale in spregio al reale supporto alle necessità delle persone.
Questa gestione dell’immigrazione si integra perfettamente con gli interessi delle grandi potenze imperialiste che, mantenendo sotto controllo i paesi economicamente più deboli attraverso lo sfruttamento economico, le guerre o il sottosviluppo, favoriscono l’esodo di migranti disperati. Al contempo, la propaganda borghese cerca di mascherare questa realtà, fomentando il razzismo e la xenofobia. La narrazione della “crisi migratoria” serve a creare paura, utilizzata per giustificare misure repressive non tanto contro gli immigrati, ma contro la lotta di classe nel suo complesso, dividendo il fronte proletario su basi etniche e culturali.
I comunisti rigettano questa strumentalizzazione in chiave xenofoba. La vera risposta non è “Prima gli italiani“, slogan tanto caro alle destre ed agitato come panacea di tutti i mali, ma la solidarietà di classe tra autoctoni e immigrati. Nel ribadire questo riteniamo anche che sia utile criticare quelle posizioni che, nei fatti, alimentano divisioni tra lavoratori italiani e immigrati tentando di ammantare di “marxismo” queste letture e identificando gli immigrati con l’”esercito industriale di riserva”. Identificare l’”esercito industriale di riserva” con uno specifico gruppo su base magari etnica o di provenienza geografica significa ignorare che a comporre l’esercito industriale di riserva sono il complesso dei disoccupati o sottoccupati a prescindere dalla loro provenienza e prestare il fianco alle strumentalizzazioni della propaganda borghese per cui il peggioramento delle loro condizioni di vita e lavora sia da imputare ai migranti. Questa valutazione è giustificata su due fattori: il primo è che la competizione tra i lavoratori esisteva già ben prima del significativo fenomeno dell’immigrazione in Italia, e il secondo è che in Italia oggi le lotte dei lavoratori più combattive sono condotte nei fatti nei settori lavorativi a più alta concentrazione di lavoratori immigrati.
In aggiunta a quanto detto va accompagnata la critica all’idea, diffusa da alcuni settori della sinistra borghese, che si possa contenere l’esodo dai paesi economicamente sottosviluppati attraverso il commercio equo e solidale e la cooperazione tra stati, in base al principio “aiutiamoli a casa loro”, un principio che in realtà è ipocrita e reazionario e, come abbiamo visto, del tutto compatibile con delle politiche in materia di immigrazione che alimentano e non rimuovono le cause alla base del fenomeno migratorio.
Favorire la solidarietà di classe non può voler dire limitarsi ad una, giusta, attività di propaganda sul tema ma deve tradursi in un indirizzo di azione chiaro per i comunisti.
L’azione politico-culturale nella classe è necessaria, ma non sufficiente. Riteniamo che rientri fra i compiti della nostra organizzazione anche sviluppare l’attività sul piano dei lavoratori e sindacale, indipendentemente dalle sigle. Se lo scopo del nemico di classe è quello di dividere il fronte del lavoro, di inasprire la concorrenza al ribasso tra i lavoratori, di scatenare una “guerra tra poveri” per mantenere il profitto e il dominio politico del capitale, allora il compito dei comunisti deve essere quello di ripristinare l’unità di classe e avviare un ciclo di lotte, che veda insieme lavoratori autoctoni e immigrati e rivendichi la generalizzazione e l’estensione a tutti dei diritti, delle tutele sindacali, dei livelli salariali e dell’accesso ai servizi, all’istruzione, alla sanità, alla cultura, all’abitazione.
Viva l’internazionalismo proletario!
Viva il marxismo-leninismo!
Viva l’Azione Comunista Europea!