Ieri, in Umbria, i sindacati confederali hanno diramato un comunicato stampa in cui denunciano la situazione di collasso in cui si trova l’Ospedale Santa Maria della misericordia di Perugia, il maggiore presidio ospedaliero nella regione. Il comunicato, che segnala le grandi difficoltà in cui versano i lavoratori e gli utenti dell’Ospedale di Perugia, sarebbe pienamente condivisibile, se non giocasse al gioco delle responsabilità collocandole nell’immediato delle negligenze della giunta regionale attuale, tralasciando che la situazione di oggi affonda le radici in un processo di smantellamento della sanità pubblica, della medicina di territorio, di soppressione dei posti letto negli ospedali periferici che dura ormai da trent’anni.
Le file di ambulanze che da alcuni giorni si sono ripresentate davanti al pronto soccorso e i focolai Covid in diversi reparti testimoniano di una scarsissima attenzione alle condizioni di sicurezza dei lavoratori. Tenendo conto che, per fortuna, molti sanitari sono già stati vaccinati, altrimenti la situazione potrebbe essere stata ben peggiore.
Nonostante ci si trovi in emergenza oramai quasi da un anno, le assunzioni di personale sanitario sono state pochissime e spesso con contratti a tempo determinato, costringendo di nuovo i lavoratori ad una turnazione assurda, con orari massacranti che rischiano di ridurne l’efficienza e la lucidità.
La situazione qui descritta non deve limitarsi al solo nosocomio perugino, le difficoltà dei lavoratori e le condizioni di precaria sicurezza lavorativa riguardano tutti gli ospedali umbri. Con l’aggravante che per alcuni di essi, i più piccoli, spesso il senso di precarietà dei servizi aggrava ancora di più le ore lavorative. Infatti a Spoleto, a Pantalla e in diversi altre strutture la soppressione di reparti e la rotazione confusa del personale sono all’ordine del giorno.
In tutto questo bailamme che ha per posta la salute dei lavoratori, si inserisce con sempre maggiore profitto la Sanità privata cui, nel frattempo, sono stati affidati settori rilevanti di prestazioni che precedentemente erano in carico al Servizio Pubblico. Sarà complicato in futuro riappropriarsi di fette strategiche di attività che attualmente sono erogate da strutture private, incrementando ulteriormente i già alti profitti di queste ultime e incrementando le passività per il servizio Pubblico.
Gravi sono le inadempienze della attuale amministrazione regionale che non ha svolto la minima azione di prevenzione del virus a partire da questa estate. Nessuna organizzazione logistica sui trasporti, nessun approccio strutturale che potesse permettere l’apertura in sicurezza delle scuole superiori, nessuna azione di prevenzione del contagio nei luoghi di lavoro, completo fallimento del tracciamento dei contagi e totale improvvisazione e dilettantismo nell’adozione di misure per la prevenzione dei contagi. Ma questa è solo l’ultima parte di un processo di disarmo dei servizi pubblici da parte delle istituzioni che è stato avviato ben prima dell’insediamento della giunta Tesei.
Cambiare strada significa riaprire i servizi di territorio, immettere stabilmente personale qualificato nei servizi pubblici, garantendo così elevati standard qualitativi nelle prestazioni e le rotazioni previste dai contratti lavorativi nazionali, garantire la permanenza dei presidi ospedalieri periferici. Sono le rivendicazioni che portiamo nel quadro del Coordinamento per la Sanità Pubblica – Umbria a cui abbiamo aderito insieme ad altre realtà politiche e sindacali della regione e che ha avviato un percorso di lotta per il ripristino del diritto alla salute della popolazione e a condizioni di lavoro dignitose e sicure per tutti i lavoratori impegnati in ambito sanitario. I sindacati confederali non si sono visti nelle mobilitazioni che abbiamo promosso con il Coordinamento nella nostra regione negli ultimi mesi, come a Spoleto e a Perugia, limitandosi a una tardiva e parziale denuncia, buona soltanto per ottenere una comparsata televisiva.